Tutti propongono la loro riforma elettorale…chi sono io per non farlo! Quindi ecco il “Marckuckellum”
Si critica e ricritica il ritorno al sistema proporzionale dicendo che questo porterebbe a “ricreare la I Repubblica”. Magari, dico io…si perchè in quella fase politica non solo i partiti stabilmente presenti in Parlamento erano una decina e non di più, ma anche perchè tutti questi, anche i più piccini, erano rappresentativi di precise fette di elettorato. Andiamo a chiarire l’arcano:
I partiti politici non basta contarli, ma bisogna anche “pesarli” per determinarne il “numero effettivo”…così ad esempio noi siamo portati a definire (correttamente) il Regno Unito come “bipartitico” e questo malgrado alla House of Commons siano rappresentate ben 12 diverse formazioni politiche. E qui interviene – fondamentale – il concetto della “rilevanza” dei partiti, magistralmente descritto da Giovanni Sartori a partire dal 1968.
Sartori ragiona partendo dal modello di competizione spaziale meglio noto come “Hotelling-Downs” che – senza entrar troppo nel tecnicismo – potrei riassumere sulla base dei presupposti seguenti:
- ogni elettore trova una propria ideale posizione lungo l’asse di conflitto sinistra-destra;
- l’offerta di partiti copre l’intero asse di conflitto;
- nella società esiste un solo asse di conflitto e non una pluralità di assi o poli (ad esempio, in Belgio ne esistono almeno due: sx-dx e fiamminghi-valloni);
- la cultura politica è di tipo civico e moderato, pertanto le preferenze della maggior parte degli elettori sono collocate nelle fasce centrali dell’asse e non in quelle estreme (come invece avvenne nella Germania di Weimar, con la polarizzazione tra Comunisti a sinistra e Nazisti a destra, che erose progressivamente il centrosinistra e il centrodestra);
In base a questi presupposti, diventa quindi “razionale” e “utile” per i singoli partiti convergere gradualmente verso il centro, dove si trova concentrata la maggior parte degli elettori e – per di più – quelli più mobili, spostandosi fino a quando i voti “in uscita” rispettivamente alla propria destra o alla propria sinistra non iniziano ad essere superiori a quelli “in ingresso” grazie al riposizionamento strategico.
Nei sistemi bipartitici (gli Stati Uniti), la convergenza verso il centro si spinge di parecchio, dato che l’alternativa per l’elettore estremo è starsene a casa (infatti, i paesi maggioritari bipolari sono tra quelli che hanno il minor tasso di partecipazione elettorale), mentre in quelli pluripartitici “razionali” (come quello italiano della I Repubblica) la convergenza al centro non può che essere lenta e limitata, dato che ogni spostamento verso la propria destra o la propria sinistra apre spazi che altri partiti possono utilmente colmare. Quindi i cambiamenti sono rari e lenti e gli spostamenti delle preferenze di voto, altrettanto striscianti. Basta guardare la straordinaria stabilità dell’elettorato italiano nel quarantennio 1948-1987 per capire che cosa intendo.
Orbene, secondo Giovanni Sartori (e secondo me, più modestamente), il numero dei partiti “rilevanti” (cioè quelli che hanno un effettivo peso politico-elettorale) si calcola considerando a) il potenziale di coalizione (cioè, servono o non servono per raggiungere la maggioranza di governo?) e b) il potenziale di ricatto (cioè, anche se di minoranza, sono o non sono in grado di influenzare le scelte politiche degli esecutivi?).
Nella I Repubblica, il numero effettivo dei partiti nel quarantennio 1948-1987 era di 6, 5 dell’area di governo (DC, PSI, PRI, PLI, PSDI) e uno di opposizione (PCI, con una percentuale di voti mai inferiore al 20%)…negli anni si sono inseriti altri soggetti che hanno avuto un qualche ruolo (PR, Verdi), mentre le due estreme (DP e MSI) sono sempre stati fuori dai giochi. Complessivamente, ancora nel 1987, i 6 partiti “rilevanti” riuscivano a raccogliere l’83% dei voti e l’88% dei seggi alla Camera dei Deputati.
Inoltre, ciascuno di questi 6-10 partiti era completamente identificabile, sia dal punto di vista politico-culturale, sia per avere un proprio, chiaro elettorato di riferimento. Così, il 2% di cittadini che votava PLI poteva, grosso modo, essere considerato “omogeneo”, perchè salvo rare eccezioni era rappresentativo di una élite di professionisti o imprenditori con un livello culturale elevato e interessi chiaramente identificabili.
Questo non si può dire dei partiti della II Repubblica. Oltre che essere molti di più di quelli della I° (i partiti “rilevanti” nell’attuale assetto politico sono circa 15-16), sono anche molto più confusi dal punto di vista dell’identificabilità…sono ridondanti, politicamente sovrapponibili, talvolta inutili, mera espressione delle classi dirigenti che li hanno fondati. Così, tra il 2% del PLI o del PRI e il 2% dell’Italia dei Valori c’è in mezzo un abisso. L’abisso della differenza tra una forza politica e una compagnia di ventura.
Una riforma elettorale corretta, quindi, dovrebbe mirare soprattutto allo sfoltimento, ma non uno sfoltimento “selvaggio” (come l’astuto Vassallum, concepito per dare al PD il 50% dei seggi con il 25% dei voti), bensì uno sfoltimento che porti a eliminare i micropartiti-personali e tutelare quelli che, in qualche maniera, sono rappresentativi di una effettiva cultura politica e istituzionale.
Un sistema elettorale corretto dovrebbe quindi – secondo quest’ottica – essere a) premiale dei partiti maggiori (senza eccessi), b) rappresentativo dei territori, c) favorire la riaggregazione di forze politicamente contigue. Cercando di mettere assieme questi tre principi, ho ipotizzato come base un sistema alla spagnola, ma con due differenze sensibili: circoscrizioni più grandi (e quindi effetti maggioritari minori) e una parte di seggi da attribuirsi su base nazionale.
Per procedere alla mia simulazione, ho ipotizzato che il 75% dei seggi vengano assegnati in base alle circoscrizioni elettorali esistenti (26) con sistema di riparto d’Hondt (il più favorevole ai partiti maggiori), che prevede l’individuazione di un quoziente elettorale suddividendo i voti ottenuti da ogni partito successivamente per 1,2,3…x (laddove x è il numero di seggi da attribuire nella circoscrizione) e quindi attribuendo i seggi ai “x” valori più alti così determinati. La dimensione media delle circoscrizioni è quindi di 16, il che prevede una quota di sbarramento implicita del 6%, adeguatamente elevata da impedire la frammentazione e favorire le aggregazioni, ma sufficientemente bassa per agevolare la rappresentanza dei partiti territorialmente più rappresentativi.
Il rimanente 25% dei seggi andrebbe assegnato con voto di lista (e preferenza) in base a una ripartizione nazionale da effettuarsi con il sistema dei “più alti resti” (favorevole ai partiti piccoli), previa applicazione di una soglia di sbarramento nazionale che ipotizzo nel 3% dei voti complessivi (circa 1.000.000 di voti), ovvero previo raggiungimento di un eletto “pieno” in almeno 2 circoscrizioni elettorali, di regioni diverse.
La tabella dell’immagine presenta la simulazione, basata sui dati (circoscrizione per circoscrizione) relativi alle elezioni politiche del 2006.
La prima colonna indica i partiti “rilevanti”, la seconda colonna, la percentuale nazionale da essi conseguita nel 2006, la terza colonna i seggi che verrebbero ottenuti nelle circoscrizioni, la quarta i seggi ottenuti su base nazionale, quindi il totale dei seggi (su 500 deputati) e la percentuale degli stessi. Quindi, una ripartizione comparativa sulla base del “modello tedesco” al quale la “bozza Bianco” della Camera si ispira.
Con il mio sistema, i partiti presenti alla Camera dei Deputati sarebbero 12, solo 8 di questi con almeno l’1% dei seggi. Vi sarebbe una piena rappresentatività delle diverse visioni e sensibilità politiche e culturali (Sx estrema, Sx moderata, Centro laico, Centro cattolico, Destra moderata, Destra estrema, Partiti territoriali), evitando gli inutili doppioni (il PdCI, la DC di Rotondi, i 3-4 partiti fascisti…). I due partiti maggiori (PD e FI) avrebbero un premio rilevante (6-8%) ma non tale da stravolgere i rapporti di forza effettivi, mentre la competizione bipolare e moderata può essere garantita dalla necessità di prevalere nelle singole circoscrizioni, dove – stante il meccanismo di riparto d’Hondt – è necessario massificare il proprio consenso per giungere a un confronto diretto tra due grandi forze tra loro alternative, che competono per la netta maggioranza dei seggi.
Poi, ovviamente, questi sono i numeri…ma si sa, quando si mette mano ai sistemi elettorali, esiste un “velo di ignoranza” sui comportamenti e sulle strategie che l’elettore sceglierà di adottare. Non è un mistero che se Berlusconi, invece di imporre a tutti una pessima legge elettorale concepita per salvarlo, avesse mantenuto il vecchio “Mattarellum“, ora sarebbe lui a Palazzo Chigi!