E se il gatto non fosse nel sacco?

E se il gatto non fosse nel sacco?

Sono convinto che per il Paese una nuova campagna elettorale sia un disastro, ma da osservatore della politica sono molto, ma molto eccitato per tutto quello che potrebbe accadere e mi diverto a profetizzar sorprese, soprattutto per quanti pensano di aver vinto dimenticando – come direbbe il Trap – di “non dire gatto se non l’hai nel sacco”…

Allo stato attuale, tutti gli osservatori in modo pressochè unanime prevedono la vittoria della destra e la sconfitta del centrosinistra. Ma tale esito è – per fare una citazione dotta collegata alla disgregazione dell’Austria Ungheria – “una tendenza, non un destino”. Una tendenza da invertire sulla base di alcune considerazioni tecniche e altre più squisitamente politiche.

  • Lo scenario. Tutti i sondaggi – nessuno escluso – danno la coalizione di Berlusconi fortemente in vantaggio. I sondaggi sono liquidi che vanno annusati e non bevuti, ma comunque fotografano uno stato d’animo diffuso e consolidato. Ma, secondo aspetto, i sondaggi testimoniano anche che il dato del PD sarebbe sensibilmente migliore nel caso in cui dovesse scegliere la strada della gara solitaria o della partecipazione a una coalizione fortemente semplificata (cioè PD, socialisti – forse Sinistra Democratica, forse i radicali). Le differenze – per capirci – andrebbero da una previsione del PD attorno al 26-27% come parte dell’Unione ad un PD attorno al 33-35% come soggetto solitario o perno di una coalizione più ristretta. 
  • Come si muove l’elettore. Secondo le più consolidate analisi del mercato elettorale, le fluttuazioni di voto si muovono lungo un asse orizzontale che unisce la sinistra alla destra. L’ipotesi di base è che tutti gli elettori possano trovare una propria collocazione ideale in un punto qualsiasi di tale asse e che la distribuzione delle preferenze sia più elevata nelle fasce centrali e più rarefatta in quelle estreme. Cioè, l’idea di fondo è che l’elettore medio sia moderatamente di centrodestra o moderatamente di centrosinistra, mentre le posizioni di sinistra rivoluzionaria e destra fascista siano minoritarie in un Paese con cultura politica coesa, come pare essere il nostro.  
  • Che tipo di voto esiste. Ci sono – grosso modo – 4 tipi di voto: il voto ideologico (l’appartenenza rigida e immodificabile), il voto d’insediamento (influenzato da una continuità di preferenze dovuta al contesto famigliare o territoriale), il voto di clientela (legato a logiche di scambio individuali o corporative) e – infine – il voto di opinione (conseguenza di una scelta razionale tra programmi, alla luce delle convinzioni etiche, personali o d’interesse individuali). I primi due tipi di voto (ideologico e d’insediamento) sono molto rigidi, vale a dire che si modificano con estrema lentezza e lungo un arco di tempo assai lungo: è anche per questa ragione che – ad esempio – il centrosinistra difficilmente può vincere in Veneto ma – parimenti – difficilmente può perdere in Toscana. Sociologicamente, i voti “fluttuanti” (clientela e opinione) si collocano nella fascia centrale (non centrista) dell’elettorato anche perchè il voto alle estreme è quasi sempre un voto “ideologico” (salvo i casi della protesta).

Pertanto, alla luce della logica di competizione spaziale lungo l’asse sinistra-destra, per le forze politiche principali è pagante spostarsi verso il centro, dove possono utilmente pescare elettori mobili che valgono pure doppio, dato che – se conquisto un elettore di centro – non solo ho un voto in più, ma il mio rivale ha pure un voto in meno, aspetto che non si realizza se conquisto un elettore alla mia sinistra (se sono il PD) o alla mia destra (se sono FI). E’ per questa ragione che in tutte le principali democrazie la competizione è “centripeta”, vale a dire che le forze principali mirano a conquistare l’elettore centrale, anche pagando dei prezzi in uscita alle loro estreme, dato che sanno bene che un elettore insoddisfatto alla sinistra o alla destra presumibilmente sceglie l’astensione e non il voto alla coalizione a lui più distante.

  • Le possibilità del PD. Solo pochi tra coloro che votano per la coalizione di Berlusconi sono “berlusconiani di ferro”. Infatti, dati alla mano, se esiste una certa stabilità dell’elettorato di AN, UDC e LN quello che fa la differenza tra le coalizioni finisce sempre per essere il risultato di Forza Italia, partito che ha conosciuto strepitose ascese e capitomboli colossali, talvolta a pochi mesi l’una dall’altro. Gli strumenti tipici dei trionfi berlusconiani sono stati un mix di voglia di novità, presunzione di modernità, capacità comunicativa, disciplina interna…tutti aspetti che il centrosinistra non aveva. Ma ora – per certi versi – le parti sono invertite.

Di Berlusconi si può dire tutto quello che si vuole, ma non si potrà dire che rappresenta una novità. E’ la personalità-chiave della politica italiana da quasi 15 anni, concorre per la 5° volta alla carica di presidente del Consiglio, ha governato indisturbato per 5 anni consecutivi…dunque un elettore può votarlo perchè lo stima, perchè crede che scenderanno le tasse, perchè nauseato dal centrosinistra. Non certo perchè vuol vedere “che cosa sa fare”. Veltroni invece, se rompe (finalmente) il totem dell’unità a sinistra, prendendo atto che esistono anche in Italia (come in Spagna, Francia e Germania) due sinistre, separate e distinte, una con vocazione di governo e una con vocazione di rappresentanza può credibilmente apparire come una novità (non dico buona o cattiva, dico novità).

Questo suo essere “novità” riformista e moderata può drenare consensi da destra a sinistra, pur senza perderne alle estreme…cioè ogni voto in più per il PD non indebolisce RC o i Verdi, ma indebolisce il centrodestra e il suo ventre molle: l’elettore fluido di Forza Italia. Ma perchè il gioco riesca sono necessari alcuni accorgimenti non meramente tattici, ma di sostanza, che provo a elencare.

  • Il successo possibile. Gli strumenti per agguantare un successo difficilissimo ma possibile sono: 1) un programma semplice, comprensibile, con poche linee guida e – soprattutto – parole d’ordine chiare, comprensibili e condivisibili; 2) la capacità di mettere in luce le contraddizioni dell’avversario, la ripetitività dei suoi slogan, delle sue politiche e delle sue facce; 3) infondere autorevolezza e sicurezza a un elettorato stremato dalle urla e dall’instabilità, proponendo in anticipo la propria squadra di governo, come Veltroni pare intenzionato a fare; 4) sfruttare il meccanismo perverso delle liste bloccate per imporre facce nuove, oneste, pulite, evitando gli errori della precedente gestione del burocrate Fassino, che ha avuto l’impudenza di imporre tra gli eletti sicuri la propria moglie e quella di Bassolino…errori di stile da evitare. Insomma: comunicazione – coesione – autorevolezza e rinnovamento. Più facile a dirla che a farla…  
  • Da dove si parte. Grossomodo, i rapporti di forza attuale sono questi:

Sinistra Arcobaleno – 8%
Coalizione Democratica  – 37%
CdL – 52%
Non schierati – 3%

Il PD deve quindi rimontare 15 punti (cioè 8 effettivi, sulla base della logica di spostamento spaziale che dicevo) in due mesi. Non è facile, ma non è neppure impossibile, considerato anche che gli indecisi sono circa il 25% dell’elettorato (cioè 12.000.000 di persone). Stavolta però non sono ammessi errori, neppure uno, piccino picciò!

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