In Friuli Venezia Giulia lo scorso 13 aprile si è votato anche per l’elezione del presidente della Regione e – a sorpresa – l’uscente Riccardo Illy (di centrosinistra) è stato sconfitto. Alcuni ritengono – e io tra questi – che la scelta di abbinare politiche e regionali (scelta dello stesso Illy) non lo abbia aiutato, neppure un po’.
Ho cercato di dimostrarlo con un articolo uscito questa settimana sul settimanale “Il Friuli”, che riporto di seguito.
Attribuire tutte le responsabilità della sconfitta regionale a Riccardo Illy e alla sua scelta di concentrare in un solo giorno le competizioni elettorali di ogni livello sarebbe certamente ingeneroso e – soprattutto – troppo comodo e troppo facilmente autoassolutorio per gli altri esponenti di Intesa Democratica. Nonostante questo, però, il politologo non può non chiedersi se e quanto la scelta dell’ex presidente abbia pesato su un esito così negativo per il centrosinistra.
I lettori del “Friuli” ricorderanno forse che in un articolo di inizio marzo si ricordava come in favore del centrosinistra avessero giocato nel 2003 alcuni fattori positivi ora non più presenti: la scarsa popolarità del governo allora in carica (Berlusconi), la spaccatura interna al centrodestra e il carico di novità e aspettative attorno al candidato Illy. Nonostante questo, il presidente Illy ha scelto di correre il rischio, decidendo di ignorare il fattore potenzialmente più pericoloso: l’ariaccia cattiva che soffiava forte contro il centrosinistra, nella certezza che il suo personale favore e prestigio fossero da soli sufficienti a controbilanciare tutti gli atout che nel frattempo erano venuti a mancare.
L’errore è stato decisivo ed era prevedibile. E non si tratta di “senno del poi”, perché i numeri erano in agguato, con la loro fredda oggettività fin da subito. Un dato che spiega quasi tutto è quello dell’affluenza: nelle ultime 3 elezioni regionali i cittadini recatisi alle urne non sono mai stati una percentuale superiore al 65%, mentre i cittadini che nelle ultime tre elezioni politiche hanno esercitato il diritto di voto sono sempre stati attorno all’80%.
Si tratta di una differenza che non ha nulla di misterioso o di sorprendente. Le elezioni regionali, ovunque in Italia, coinvolgono e interessano una parte minore del corpo elettorale. E’ un dato noto, stabile, spiegabile e ignorarlo è stata una leggerezza da parte dell’ex presidente e del suo staff. I 15 punti di differenza tra dato di affluenza medio alle regionali e dato di affluenza medio alle politiche significano che il giorno delle elezioni si sono presentati a ritirare la scheda per le regionali circa 130.000 elettori che se non ci fosse stata anche la contemporanea battaglia tra Berlusconi e Veltroni sarebbero rimasti presumibilmente a casa. Alcuni hanno annullato la scheda o non si sono espressi, ma i voti validi nel 2008 sono comunque superiori sensibilmente rispetto a quelli del 2003: 100.000 elettori circa.
Cosa avevano in testa quei 100.000 elettori? Probabilmente non tanto lo scontro Illy-Tondo quanto la grande partita nazionale ed è stata questa che ha strutturato l’orientamento di voto più sentito e partecipato (quello politico), riversandosi a cascata su quel voto amministrativo che non sarebbe stato al centro dell’attenzione dell’elettore abitualmente astensionista in occasione di competizioni da lui considerate – a torto o a ragione – di minore rilievo.
Questo dato emerge anche da altri due fattori: il tasso di fedeltà ai partiti nell’arco di elezioni diverse nella stessa giornata e il peso complessivo delle preferenze ottenute dai candidati eletti in consiglio regionale. Malgrado una parziale difformità nell’offerta politica, i partiti “nazionali” presenti sia nelle liste delle politiche, sia in quelle regionali o amministrative hanno conseguito un risultato sostanzialmente identico, laddove le moderate difformità non sono tali da alterare il complessivo rapporto tra centrodestra e centrosinistra (tabella 1). Lo stesso dato si può cogliere osservando l’andamento dei partiti nella città di Udine, interessata a quattro diverse competizioni elettorali contemporaneamente. Il voto ai partiti “tiene” stabilmente da una elezione all’altra (segno che l’elettore non “disgiunge” facilmente orientamento di voto) tranne nel voto alle elezioni comunali che sono – non a caso – le competizioni più sentite e seguite dopo le politiche.
Tabella 1: il voto in Regione e nella città di Udine
|
Camera |
Regione |
CmUd |
RegUD |
PrUd |
ComUd |
PDL |
34,7 |
33,02 |
34,8 |
33,2 |
33,9 |
24,1 |
PD |
31,4 |
29,93 |
34,8 |
32 |
31,1 |
21,1 |
LN |
13 |
12,93 |
8,8 |
8,2 |
9,8 |
6,1 |
UdC |
6 |
6,15 |
6,3 |
6,2 |
5,4 |
4,1 |
S.Arc. |
3,1 |
5,65 |
3 |
6,3 |
5 |
4,5 |
IdV |
4,3 |
4,49 |
4,9 |
5,7 |
6 |
2,4 |
Totale |
93 |
92,17 |
92,6 |
91,6 |
91,2 |
62,3 |
Dalla tabella 1 si vede come le 6 liste presenti in tutte le competizioni mantengano un pacchetto di voti sostanzialmente stabile, tranne casi spiegabili con strategie proprie di un elettore politicizzato (il “voto utile” della Sinistra Arcobaleno alla Camera, che viene riassorbito in Regione o in Provincia), quando non quasi identico. Si osservi ad esempio il caso del PDL nella città di Udine: la banda di oscillazione nelle tre competizioni “maggiori” (Politiche, Regionali e Provinciali) è inferiore al punto percentuale (oscillando tra un dato minimo del 33,9 e uno massimo del 34,8) e il “crollo” comunale (di 10 punti) è in parte spiegabile con il risultato delle due liste a sostegno della candidatura a sindaco di Enzo Cainero, complessivamente collocabili vicino all’8%.
Tabella 2: quanto pesano le preferenze?
|
P/V 1998 |
P/V 2003 |
P/V 2008 |
Totale |
0,23 |
0,25 |
0,19 |
AN |
0,22 |
0,23 |
|
CPR-DL |
0,34 |
0,38 |
|
DS |
0,25 |
0,34 |
|
Verdi |
0,2 |
0,04 |
|
FI |
0,25 |
0,24 |
|
LN |
0,24 |
0,18 |
0,12 |
PRC |
0,08 |
0,09 |
|
U. Friuli |
0,08 |
|
|
Cittadini |
|
0,21 |
0,08 |
PdCI |
|
0,11 |
|
IdV |
|
0,03 |
0,07 |
UdC |
|
0,17 |
0,17 |
Pensionati |
|
0,02 |
0,02 |
PD |
|
|
0,24 |
Slov. kup. |
|
|
0,02 |
S.Arcob |
|
|
0,08 |
PDL |
|
|
0,25 |
La sostanziale prevalenza del voto politico sul voto amministrativo appare anche osservando il rapporto esistente tra voto di preferenza e voto di lista. La preferenza indica la capacità dei candidati (e quindi dei partiti) di incidere sul territorio, attraverso il patrimonio di relazioni, di stima, di simpatia o di clientela che ogni candidato riesce a ottenere. Si tratta di un dato molto oscillante da un partito all’altro (ci sono forze politiche dove la preferenza conta di più, come tradizionalmente tra gli ex democristiani o ex comunisti) e forze dove il voto è più “ideologico” e quindi meno legato a logiche localistiche, come per la Lega Nord (paradossalmente) o i partiti della sinistra radicale. Ma complessivamente, letto nel suo insieme, il dato è tendenzialmente stabile e così è stato nelle competizioni del 1998 e del 2003 (Tabella 2).
L’indice di influenza delle preferenze è calcolato in modo molto semplice: ho sommato le preferenze totali conseguite dai candidati risultati eletti in ogni partito (ponderando il dato per il 2003, quando c’era il listino) e quindi ho rapportato questo dato con il voto complessivo ottenuto dalla forza politica. Per esempio, quindi, se l’indice da 0,25 significa che i candidati eletti hanno portato una quota di preferenze pari al 25% del pacchetto complessivo ottenuto dal partito e questo implica – inoltre – che maggiore è il valore dell’indice, maggiore il peso dei candidati e quindi il loro radicamento sul territorio.
Vediamo come nelle elezioni del 1998 e del 2003 il voto degli eletti sia pesato complessivamente per circa un 25% del totale e si sia dimostrato stabile anche a livello di partito da una elezione all’altra. Così, il voto di preferenza in AN pesava per un 22% nel 1998 e 23% nel 2003, mentre quello di RC solo per un 9% nel 1998 e 8% nel 2003. Il solo cambiamento significativo tra 1998 e 2003 è quello della Lega Nord, che nel 1998 aveva caratterizzato i propri equilibri interni per il personale “boom” di consensi di Alessandra Guerra (oltre 12.000 preferenze).
Nel 2008 invece l’indice complessivo scende da 0,25 a 0,19, il che significa che gli eletti del 2003 rappresentavano direttamente 1 elettore su 4 mentre quelli del 2008 non arrivano a 1 u 5. Perché questo indebolimento praticamente uniforme del peso dei candidati eletti?
Escludendo una risposta “antipolitica” (sono diventati distanti e autoreferenziali) privilegio due ipotesi tra loro combinate: la paura di sbagliare voto (alimentata anche dalla polemica sulle liste bloccate che può aver indotto elettori non attenti a pensare che questa norma possa valere anche per le regionali) e il fatto che si sono avvicinati elettori che in assenza del voto politico non sarebbero andati alle urne.
E quindi torniamo alla riflessione iniziale: il calo di rilevanza delle preferenze è quasi pari alla crescita dell’affluenza elettorale. Ulteriore elemento che mi porta a credere che se la scelta dell’Election Day non spiega tutto, alcune importanti risposte le dà.