Ieri sera ho visto “Ballarò“.
Gli ospiti in studio – tra i quali spiccavano l’ambiguo ministro Maroni e lo scaltro Massimo D’Alema – hanno parlato molto di immigrazione. Come al solito. Con le solite frasi. Con i soliti concetti, vecchi ormai di quasi 20 anni. E così, l’immigrazione diventa – di volta in volta – “un’emergenza da combattere” (per la LN), “un problema da risolvere” (per FI) o “un male necessario” (per il PD). Probabilmente c’è del vero in tutte e tre queste posizioni, ma manca la cosa che a me sarebbe sempre piaciuto che qualcuno dicesse o scrivesse, ma nessuno lo ha mai fatto. Manca una frase del tipo:
“L’immigrazione è un fenomeno complesso che va governato. Ma ci piacerebbe vivere in un mondo senza dogane e senza barriere. Ci piace poter dare una mano alle popolazioni meno fortunate, creando opportunità di lavoro, di crescita umana e civile, ci onora poter fare la nostra parte per consentire a chiunque di cercare la propria porzione di felicità su questa Terra. Sappiamo che non sarà facile, ma siamo fieri che centinaia di migliaia di persone che vivono nella sofferenza, nella povertà e nel disagio, tra tante nazioni al mondo individuino proprio il nostro vecchio e sgangherato Scarpone come meta ultima dei loro sogni e delle loro speranze. E noi – che fummo la patria del Diritto e la culla della prima grande società multietnica della Storia – faremo tutto il possibile per essere all’altezza delle loro aspettative. Faremo del nostro meglio per consentire ai nostri ospiti di ottenere nel nostro paese rispetto, dignità e affetto. Questo per il bene loro, per l’eterno rispetto dei principi di ospitalità e per lo stesso nostro buon nome.”
Ma non ho udito mai frasi del genere. Non nel passato. Non oggi e temo neppure domani. Non le ho udite neppure ieri sera. Però a un certo punto, verso la fine della serata, Massimo D’Alema ha parlato di pienezza dei diritti e dovere di integrazione. Non è molto, non è un granchè. Ma erano le 22.54 e ho capito che per quella sera non avrei avuto di più.