Primarie

Primarie

La vicenda precongressuale del PD viene spesso descritta facendo disinvolto risorso a termini attinti alla scienza psicoanalitica o – in alternativa – al mondo circense. “Psicodramma”… “pagliacciata”…eccetera, eccetera…

In realtà tutto questo dileggio è fuori luogo: le primarie sono fatte così, il loro dare spazio a tutte le candidature – anche le più bizzarre – rientra perfettamente nello spirito del meccanismo, come la tradizione americana (la sola da prendere realmente in considerazione) può dimostrare e confermare.

Nelle primarie statunitensi, infatti, i candidati al blocchi di partenza sono sempre molti, ad esempio nel 2008 sono stati 15 i nomi in lizza, 8 democratici e 7 repubblicani. E questo senza considerare terzi partiti o altre bizzarrie (dai socialisti ai partiti religiosi, dai verdi al Kkk). E il fatto che – ad esempio – nel partito democratico oltre a Barack Obama ci fossero altri 7 runner non è visto come un “dilaniamento”, ma come un’arricchimento per tutto il partito.

Da noi, invece, abituati come siamo a partiti monarchici, fatichiamo a credere che le primarie possano diventare cose serie, così se il candidato è uno solo si parla di “primarie farsa”, mentre se sono due il commento è “partitospaccato” e se sono tre o più “partito dilaniato”.

Secondo questo paramentro, il PD è “dilaniato”. In realtà non è così, ma – all’opposto – ognuna delle tre principali candidature è funzionale a un preciso modello di partito e ad una precisa piattaforma politica. Vediamo quale, ovviamente a parer mio, fallace quanti altri mai.

Franceschini nell’ambiguo. La candidatura del segretario uscente è sorretta da un gruppo ampio di dirigenti, che va da Piero Fassino a Francesco Rutelli, da Debora Serracchiani a Paola Binetti fino a Walter Veltroni. Molti, forse troppi. Troppi decisamente. Infatti, tengono dentro tutto e di tutto il suo contrario e se il peccato mortale del PD è l’indecisione, una vittoria di Franceschini sarebbe la prosecuzione di questo peccato.

Bersani nel Politburo. Pierluigi Bersani è lontano anni luce dal “partito movimento” veltroniano. Bersani è sostenuto da quella parte di partito – tipo Massimo D’Alema o Franco Marini – che crede nelle strutture rigide, organizzate, articolate, formalizzate. Il partito apparato o il partito istituzione che dir si voglia, nato da una fusione di élite, un compromesso storico “bonsai” tra quello che resta del PCI e quello che resta della DC e come prospettiva, la creazione di una forza di tipo “socialdemocratico” solo leggermente spruzzata da un pizzico di cattolicesimo sociale. Insomma, un partito del ‘900, con i suoi pregi e i suoi difetti. Un partito per certi versi acronotopico.

Il professore nell’arena. Terza ipotesi è la candidatura di Ignazio Marino. Tra tutte la più “americana”, fortemente costruita sulle “issues“, molto caratterizzata e molto dinamica. E’ la sola candidatura effettivamente di rottura, la sola – qualora vincente – capace di aprire un percorso nuovo nella politica italiana, che di novità ha tanto bisogno. Marino potrebbe costruire un partito di idee e di programma, non un partito di slogan o di apparati.

Il comico. Non credo alla candidatura di Beppe Grillo, non penso si arriverà al dunque ed è meglio così: Grillo sarebbe una deriva di tipo populista, l’ennesima risposta “antisistema” alla crisi italiana, l’ennesima scorciatoia “bonapartista” che non porta da nessuna parte. Una versione di sinistra della “delega in bianco” che il centrodestra ha dato a Berlusconi ormai oltre 15 anni fa.

Il narciso. Si candida anche Mario Adinolfi, di professione giovane blogger, pur essendo alle soglie dei 40. Non andrà da nessuna parte e non ha molto da dire, con la bocca sempre piena di “youtubefacebooktwitterpcblog“, ma il suo non molto lo dice di continuo, lo urla in comunicati stampa, si sta ammalando di uno dei morbi più caratteristici e malinconici della politica italiana: la dichiarazionite. Non c’è giorno in cui non lanci la sua piccola “ansa” su questo o quello e non trovi qualche quotidiano (cartaceo o online) che la ripeta, come se dietro di essa vi sia chissà quale struttura, chissà quale consenso o chissà quale elaborazione intellettuale.

Per il poco che conta, io sosterrò Ignazio Marino. Ma spero – e dovrebbero sperarlo tutti, compreso il centrodestra – che sia una gara vera, pulita, trasparente e risolutiva.

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