Mentre l’insipido Romney trionfa in Florida, leggo che ne è saltato un altro. Dopo la “teiera” Michelle Bachmann è la volta del ricco ed elegante Jon Huntsman Jr., talmente colto, rispettabile e cosmopolita da risultare insopportabile al tipico elettore repubblicano degli Stati Uniti profondi, spesso troppo reazionario, bigotto, sessista, razzista e ignorante.
Brutto da dirsi? un po’ si, eppure… Bachmann e Huntsman sono agli antipodi: lei rappresenta il movimento “Tea Party“, cioè quanto di più vicino alla “pancia” ci sia nella proposta politica repubblicana, mentre lui è il classico conservatore wasp, alla Calvin Coolidge o alla George Bush padre… grandi case, molti soldi (spesso ereditati), vacanze in Europa e ottime università per i rampolli. La Bachmann e Huntsman sono – quindi – buoni rappresentanti delle due principali anime del Partito Repubblicano, eppure per loro la corsa è già finita. Perché? che hanno che non va?
Non ci sono risposte politiche, non è un problema di contenuti, di statura morale, di sensibilità culturali. Semplicemente hanno preso pochi voti tra le nevi dell’Iowa e nel New Hampshire e quindi sono fuori, anche se alla conta delle primarie mancano ancora 48 Stati. E che Stati: New York, Texas, California, Ohio, Florida… Un po’ come se in Italia un partito politico non si presentasse alle elezioni perché gli sono andate male le amministrative a Vicenza, Grosseto o Catanzaro.
Il fatto è che dopo questi risultati, i finanziatori hanno smesso di erogare denaro e così la benzina è finita: niente soldi per i palloncini colorati, le majorettes o per le tonnellate di lacca che servono a tenere in equilibrio le vaporose pettinatura delle Signore della politica americana. E questo perché Bachmann & Huntsman (detto così sembra uno studio legale o una catena di fastfood) avevano speso tutte le loro risorse (che non eran poche) in spot e altre delizie elettorali, per comprare voti nei due staterelli, sapendo che un buon risultato in quelle zone ha un impatto mediatico enorme, infinitamente superiore al limitato numero di delegati per la convention nazionale che questi esprimono.
Da questo tre lezioni: innanzitutto, il vero artefice di vittorie e sconfitte nel sistema politico americano è il denaro, che conta molto di più di quanto non contino relazioni, visibilità, curriculum, idee o progetti. E ne serve tanto, tantissimo, oltre ogni immaginabile se pure un signore come Jon Huntsman, ricchissimo di suo, non può permettersi di correre perché mancano i soldi.
La seconda lezione è che anche se le primarie dureranno fino a primavera inoltrata, la nevrotica e assurda logica mediatica rende il primo mese determinante. Perdere in Iowa o nel New Hampshire è – paradossalmente – molto più grave di quanto non sia perdere in Michigan, Pennsylvania o qualche altro Stato molto più grande e popoloso. E quindi quelle poche centinaia di migliaia di elettori hanno un peso politico straordinariamente forte, oltre ogni senso e buon senso.
La terza e ultima lezione è la logica dei finanziamenti. I finanziatori si spaventano per nulla (come sempre) e investono denaro, molto denaro non per convinzione, per supportare un progetto politico, perché credono in un candidato, nella sua storia e nelle sue proposte. Investono denaro solo in chi può vincere, per poi presentargli il conto in termini di benefici politici aziendali o di settore. E’ il lobbysmo nella sua manifestazione più cinica e deteriore, un estrema privatizzazione delle istituzioni e dei processi politici.
E così, malgrado io ammiri il sistema politico americano e invidi i colleghi consulenti che svolgono la nostra professione in tale, opulento contesto, nella mia sensibilità di uomo democratico c’è qualcosa che non mi torna, che non mi piace e mi inquieta. Perché anche noi alla periferia dell’Impero, in fondo, paghiamo il conto delle scelte che fanno i contadini dell’Iowa, immersi in chiacchiere fatte di luoghi comuni, mentre se ne stanno seduti davanti al fuoco a bere birra e guardare il football e intanto fuori nevica forte…