02/10/2012 – Il fenomeno della corruzione è endemico in Italia, ha attraversato indenne un secolo e mezzo e quattro diversi regimi, supererà indenne anche questa nuova crisi di regime oppure sarà finalmente sconfitta? Partiti e nuovi movimenti politici sono realmente interessati a spezzare questa spirale perversa?
Posta così la domanda la risposta potrebbe essere semplice, basta guardare come si sono sinora posizionate le diverse forze politiche, in Parlamento e fuori, rispetto alla proposta di legge anticorruzione del governo Monti.
Il disegno di legge presentato dal ministro della giustizia Paola Severino parte dalla necessità di recepire nella nostra legislazione le indicazioni per la lotta alla corruzione contenute nella Convenzione di Strasburgo del 1999. Il ddl una volta approvato introdurrà due nuovi tipi di reato, la corruzione privatae il traffico di influenze illecite, il reato di concussione sarà diviso in due, per costrizione o per induzione (in quest’ultimo caso diventa colpevole anche il concusso), infine la non candidabilità dei condannati con sentenza in giudicato.
PDL e Lega si sono opposti e il governo, dopo mesi di tira e molla, si è visto costretto, il 13 giugno, a porre per tre volte la fiducia per far passare il progetto alla camera. Subito dopo però il PDL ha avvertito che se la cosa dovesse ripetersi al senato farà cadere il governo. La risposta all’interrogativo iniziale potrebbe quindi essere questa: dal FLI all’IDV tutti d’accordo nella lotta alla corruzione, gli unici a non essere interessati sembrerebbero PDL e Lega.
Ma le cose stanno realmente così? Entriamo dunque nel merito del ddl-Severino e rapidamente osserviamo quanto segue:
1- i due nuovi reati previsti hanno una pena massima di tre anni di reclusione, una cifra ragionevole e proporzionata, ma che stante i tempi di prescrizione della ex-Cirielli equivale nella pratica alla non punibilità. Che la cosa non sia ipotetica ma reale ce lo mostrano i dati sull’abuso d’ufficio, pena massima tre anni. La ex-Cirielli fu approvata il 5 dicembre del 2005, in quell’anno le condanne per abuso d’ufficio furono 1305, l’anno successivo, a legge operante, le condanne crollarono drasticamente a 45.[1] Senza una modifica dei tempi di prescrizione, ma soprattutto senza uno snellimento delle procedure penali, l’effetto dell’introduzione di questi due nuovi reati è – di fatto – pressoché nullo.
2- Nella legge anticorruzione approvata alla camera mancano – pur essendoci nella Convenzione di Strasburgo – il reato di autoriciclaggio, i test d’integrità e soprattutto norme premiali per i collaboratori di giustizia nei reati corruttivi.
Ma allora di cosa stiamo parlando? Di niente?
Non proprio. Da una parte c’è uno schieramento che sostanzialmente mira a gettare fumo negli occhi agli italiani, dando l’impressione di voler combattere la corruzione, dall’altra un partito, il PDL, che tenta di utilizzare anche questo “fumo” per far passare norme che indebolirebbero ancora di più l’azione della magistratura. E si ! perché in cambio dell’approvazione del ddl- Severino il PDL pretende la restrizione delle intercettazioni e la diretta perseguibilità del giudice da parte del cittadino.Inoltre, alla camera ha tentato di far passare un emendamento restrittivo sulla concussione per induzione per salvare Berlusconi dal ” processo Ruby”.
In questo suo atteggiamento il PDL è perfettamente coerente con una linea politica seguita insieme allaLega nel primo decennio del duemila. Basterà ricordare che la cosiddetta “Riforma Epocale” della giustizia italiana che volevano PDL e Lega nel 2011 prevedeva – oltre alla non obbligatorietà dell’azione penale– il passaggio della titolarità delle indagini dalla magistratura inquirente agli organi di polizia. Vale a dire, da un organo indipendente dal potere politico a un altro dipendente dal ministro degli interni. Non potendo mettere in discussione il principio costituzionale dell’indipendenza della magistratura si voleva ottenere lo stesso risultato di controllo politico trasferendo la titolarità delle indagini .[2]
Ma se il centrodestra si è coerentemente impegnato a depotenziare l’azione repressiva della magistratura, il centrosinistra – pur opponendosi ai tentativi berlusconiani di ridurre la magistratura a un potere subalterno a quello politico – si è sempre disimpegnato da una coerente lotta alla corruzione.
Nel 1996 il centrosinistra vince le elezioni, siamo all’indomani di “mani pulite” con alcune migliaia di processi ancora in corso, furono nominate due commissioni per la lotta alla corruzione, una promossa dal ministro della funzione pubblica, e l’altra dal Parlamento. Le due commissioni elaborarono 22 progetti di legge per combattere il fenomeno, unificate in 8 disegni di legge, dei quali alla fine del quinquennio ne fuapprovato solo uno, il meno influente.[3] Nello stesso periodo la pena massima per il reato di abuso d’ufficio veniva ridotta a tre anni e il conflitto di interesse, di fatto, abolito.
Nel 2006 il centrosinistra rivinse le elezioni, Prodi ritornò al governo, ma né la ex-Cirielli né la depenalizzazione del falso in bilancio, precedentemente approvate dal centrodestra, furono abolite.
Nel 1999 al governo c’era D’Alema, seguito da Amato fino a giugno 2001, dal 2006 per un altro anno e mezzo ci fu Prodi, nessuno di questi governi di centrosinistra si preoccupò di recepire nella legislazione nazionale le norme anticorruzione della Convenzione di Strasburgo.
Ma se quelle norme venissero integralmente accettate, il falso in bilancio ripenalizzato, la ex-Cirielloabolita, l’abuso d’ufficio riportato a 5/6 anni di pena massima, il conflitto d’interesse reintrodotto e le procedure processuali snellite, sarebbero sufficienti questi provvedimenti a stroncare il fenomeno corruttivo?[4]
La risposta a questo interrogativo è no! Per due ordini di motivi:
1- l’azione della magistratura è successiva al reato commesso. Un potenziamento delle norme repressive, come su indicato, di sicuro migliorerebbe la situazione, ma senza un insieme di controlli preventivi, di meccanismi volti a impedire sul nascere le occasioni di corruzione, ben difficilmente si potrà ridurre drasticamente il fenomeno.[5]
Nell’ultimo ventennio sono stati smantellati i pochi strumenti di controllo preventivi esistenti e siamo giunti all’assurdo che la legittimità amministrativa di un atto è certificata dallo stesso autore dell’atto amministrativo. Con la conseguenza che chi non è d’accordo può solo ricorrere – con grave onere finanziario e di tempo – al TAR. E ancora, un dirigente della pubblica amministrazione che gestisce una gara d’appalto per un servizio stabilisce lui i criteri di valutazione di alcuni parametri dell’offerta, potendo così predeterminare il vincitore, e nessuno può obiettare sulla legittimità amministrativa dell’atto se non il TAR. Come pure drasticamente depotenziato è stato il controllo contabile della Corte dei Conti. Un tempo bastava la semplice condotta colposa per essere chiamati a rispondere del danno erariale, oggi è necessario il dolo o la colpa grave.
Senza quindi una rete di controlli preventivi e ispettivi, con possibilità di entrare nel merito della validità economica delle spese, nessuna seria lotta alla corruzione è concepibile.
2- Il secondo ordine di motivi è legato alle nuove forme di corruzione e alla “corruzione legale”. Quest’ultima è un ossimoro che sta a indicare nuovi metodi per estrarre soldi dal bilancio dello Stato senza correre alcun rischio penale. Quando – ad esempio – il presidente di un consiglio regionale si nomina nove consulenti, guarda caso tutti del suo collegio elettorale, al massimo può incorrere nell’azione della Corte dei conti se proprio ha esagerato nel nominare persone del tutto inadatte. Va da sé che questi beneficiati, al momento opportuno, dovranno pur restituire un qualcosa. E ancora, se un consigliere regionale può chiedere dei rimborsi spesa sulla base di una sua dichiarazione autocertificante, che possibilità ci sono di scoprire e punire un possibile abuso? Più o meno zero!
Ma le forme principali attraverso le quali passa la corruzione post “mani pulite” – che sfuggono largamente alle attuali norme e a quelle in discussione al Parlamento –sono sostanzialmente riconducibili a due filoni:
Il primo si sostanzia nell’uso di istituti contrattuali atipici, “project financing”, “global service”, “general contractor”, ai quali si ricorre in particolare per grandi opere.Con questi contratti l’impresa titolare attraverso una ragnatela di sub-affidamenti, in regime privatistico, sfugge alle regole dei controlli pubblici.[6] Il falso in bilancio e l’abuso d’ufficio giocano in questi casi un ruolo determinante nel consentire passaggi di utilità che non prevedono più un rapporto diretto tra boiardi di Stato e grande impresa, ma un ruolo di mediazione di tecnici e faccendieri vari.
Il secondo consiste nella proliferazione di società di diritto privato, Spa e Srl, partecipate o indirettamente controllate dalle varie articolazioni territoriali dello Stato, cui vengono affidate funzioni pubbliche. Prima di “mani pulite” esistevano limitati istituti e aziende di diritto pubblico, regolati per legge, che svolgevano funzioni per conto dei vari enti dello Stato. Dopo si è avuta una proliferazione di Spa e Srl promosse o controllate dai ministeri (oltre 1.500), da regioni, province e comuni (almeno 14.000), svincolate dalle regole della contabilità di Stato, con presidenze, consigli di amministrazione, collegi sindacali fatti di “amici degli amici” e personale dipendente rigidamente selezionato dal filtro clientelare.
Il Sole 24 Ore, in una recente denuncia, calcola il costo delle partecipate regionali (almeno 1.400) in circa un miliardo all’anno di euro tra perdite e ripianamento dei conti. Spa e Srl che producono solo perdite ed hanno un numero di dipendenti non inferiore a trentamila.[7]
La corruzione – 60 miliardi all’anno, pari a 1000 euro scippati a ogni cittadino – ha svariati effetti negativi: sottrae risorse al bilancio dello Stato, distorce le regole della concorrenza, aggrava i costi delle imprese fuori dal giro corruttivo, fa fornire alla collettività beni e servizi scadenti, distrugge il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato, alimentando antipolitica e corrompendo i cittadini allorquando subiscono il ricatto clientelare. Un fenomeno deleterio che corrode le basi stesse della democrazia. Ma la corruzione ha un altro effetto nefasto, che solitamente viene ignorato da quanti se ne occupano; essa rappresenta la chiave d’ingresso delle mafie negli apparati dello Stato.[8] E’
sul terreno corruttivo che avviene l’osmosi tra politici, funzionari della pubblica amministrazione e mafiosi. I primi due commettono atti corruttivi per agevolare i clan e in cambio ricevono voti e soldi. E’ questa l’essenza del rapporto mafie-Stato. La lotta alla corruzione diviene quindi anche lotta alle mafie.
Assodato che dei partiti presenti in Parlamento alcuni non hanno interesse alla lotta alla corruzione, altri fanno finta di farla, c’è da chiedersi se almeno i nuovi movimenti politici hanno consapevolezza della posta in gioco sulla questione corruzione?
Per Oscar Giannino e il suo movimento “Fermiamo il declino” nei dieci punti prioritari per salvare il paese il problema della corruzione si risolve con “meccanismi premianti per chi denuncia reati di corruzione” e allontanando “… dalla gestione di enti pubblici e di imprese quotate gli amministratori che hanno subito condanne penali per reati economici e corruttivi” [9]. Veramente poco!
Per Andrea Romano, direttore di Italia Futura, il movimento di Montezemolo, tutto si risolve con la creazione di Stazioni Uniche Appaltanti a livello regionale. Come dovrebbero essere regolate le spese centrali dei ministeri non è chiaro, né si capisce cosa dovrebbe impedire che la corruzione si trasferisca dai vari centri locali sparsi sul territorio a questa ipotetica Stazione unica appaltante.[10] Insomma con Giannino e Montezemolo siamo all’incirca allo stesso livello di quei gruppi in Parlamento che fanno finta di voler fare la lotta alla corruzione.
Per Andrea Romano, direttore di Italia Futura, il movimento di Montezemolo, tutto si risolve con la creazione di Stazioni Uniche Appaltanti a livello regionale. Come dovrebbero essere regolate le spese centrali dei ministeri non è chiaro, né si capisce cosa dovrebbe impedire che la corruzione si trasferisca dai vari centri locali sparsi sul territorio a questa ipotetica Stazione unica appaltante.[10] Insomma conGiannino e Montezemolo siamo all’incirca allo stesso livello di quei gruppi in Parlamento che fanno finta di voler fare la lotta alla corruzione.
Peggio ancora per la coppia Grillo/Casaleggio. Il programma del Movimento 5 stelle è ricco di indicazioni e proposte, alcune anche condivisibili, atte a punire il ceto politico italiano e soddisfare il desiderio di vendetta di molti cittadini, ma della lotta alla corruzione manco l’ombra o il “fumo”. Nelle oltre 320 righe e sette capitoli del programma la parola “corruzione” non compare neanche una volta.
In conclusione, all’interrogativo iniziale posto nel titolo – se c’è in Italia una forza politica interessata a debellare la corruzione – La risposta è no! E non c’è nulla da meravigliarsi in questo. Nel corso del novecento l’Italia ha attraversato tre crisi di regime (dal liberalismo al fascismo, da questo alla prima Repubblica e poi alla seconda) e ad ogni passaggio il fenomeno – endemico sin dall’unità – si è sempre riprodotto adattandosi alla nuova realtà. Vuol dire che anche stavolta sopravviverà!
Fonte: agoravox.it | Autore: Ugo Di Girolamo | Per la consultazione delle note clicca qui