30/10/2012 – Ha fatto notizia l’Islanda: ha riscritto la propria Costituzione attraverso un Consiglio Costituente, selezionato tra cittadini rigorosamente mai investiti di incarichi parlamentari, che è stato perennemente in contatto con umori e pareri della popolazione su Twitter, Facebook e altri strumenti online. Ha fatto notizia il voto di ratifica dell’elettorato, il 21 ottobre, che ha sancito a grande maggioranza la nazionalizzazione dei beni naturali non posseduti dai privati, ma ha anche confermato, sia pure con un confronto più serrato, la chiesa luterana come, di fatto, chiesa nazionale.
I sostenitori del web quale incarnazione di democrazia diretta e di scelte partecipate sembrano avere trovato la loro patria, a ragion veduta. Internet ha vegliato sulla nascita di un Paese nuovo. C’è solamente un dato che contrasta con il clima di condivisione e di trasparenza con cui è stata scritta la nuova carta costituzionale islandese: la percentuale di votanti. I quesiti referendari hanno ricevuto tutti l’approvazione del popolo, ma si è espresso poco meno del 49 per cento degli aventi diritto.
Il giornalista islandese Paul Fontaine, intervistato dal sito TechNewsWorld , ha sottolineato il suo stupore di fronte a questa scarsa affluenza alle urne, e ha trovato una curiosa e paradossale spiegazione. Su Internet, alla vigilia del referendum costituzionale, si è assistito a una febbrile propaganda, una generale “chiamata alle armi” che lasciava presupporre percentuali di votanti plebiscitarie.
“C’era una enorme motivazione su Facebook nelle settimane precedenti il referendum costituzionale per incoraggiare reciprocamente le persone ad andare a votare. Eppure, di tutti gli aventi diritto di voto, solo il 48,9 per cento in realtà si è espresso”. Perché? “È solo una mia teoria – ha precisato il giornalista-, si badi bene, non ho alcuna prova a sostegno di questo, ma credo che la ragione della scarsa affluenza alle urne sia stata che molte persone hanno ritenuto che tutti avrebbero votato nel modo in cui volevano loro, quindi non c’era davvero bisogno di andare a votare. Conosco un sacco di gente intorno a me che, effettivamente, ha detto questo”.
“Una delle dinamiche di Internet – ha precisato Fontaine – è la creazione molto facile di questi piccoli spazi che rispecchiano le idee. Quindi, se sei un uomo di sinistra e ti allinei con un particolare partito politico, è probabile che una parte molto consistente dei tuoi amici di Facebook siano di sinistra. E così in tutto il flusso di notizie che ti passano sotto gli occhi trovi persone che dicono: ’Beh, certo che andremo a nazionalizzare le risorse naturali’.”
E così, la prima costituzione europea del nuovo millennio non ha mobilitato neppure la metà dei pochi abitanti (246 mila) coinvolti. Astensione per eccesso di partecipazione online. Sarebbe questo il verdetto. Un verdetto evidentemente superficiale, a cui andrebbero aggiunti altri fattori sociali e politici più profondamente radicati nel tessuto islandese, ma comunque suggestivo.
I commenti sul web, così compatti per il sì, avrebbero convinto tanti a non preoccuparsi per la contesa, tanto qualcun altro avrebbe fatto il proprio dovere al loro posto. Il consenso sul web sarebbe stata una prova generale tanto ben riuscita che ha tolto la voglia di vedere il vero debutto in teatro. Il virtuale sarebbe stato tanto convincente da mettere in secondo piano il reale.
È solamente un’idea, come si è detto, ma degna di attenzione. Un indizio sul modo in cui le nostre relazioni virtuali interferiscano con il comportamento nel mondo reale. I social network in Islanda hanno dato un grande contributo alla “rivoluzione” dolce iniziata nel 2008 con la caduta del governo e proseguita con l’abrogazione dei debiti Icesave nei confronti di Regno Unito e Olanda. Migliaia di utenti hanno potuto commentare settimanalmente su Flickr, YouTube, Facebook e Twitter i lavori del Consiglio Costituente. E oggi l’accesso a Internet fa giustamente parte delle libertà sancite dalla Costituzione islandese. Ma guai a dimenticarsi che, fuori dal web, c’è un mondo che chiede di noi, in carne e ossa.
Fonte: lastampa.it | Autore: Claudio Leonardi | Foto: pasadenaweekly.com