Sabato mattina sono stato ad un convegno in difesa della specialità regionale, rimessa in discussione dalla crisi economica, dall’incrocio perverso di riforme e riformette e dagli inenarrabili orrori prodotti dalla folle autonomia siciliana. Ci sono stati diversi interventi di vario interesse e profondità ma ne segnalo due radicalmente diversi: quello del prof. Roberto Bin, polemico intelligente e spietato e quello del sen. Ferruccio Saro, talmente scaltro e criptico (volutamente criptico) da apparire come un vero e proprio sudoku politico.
Comunque tutto questo mi ha dato la possibilità di riflettere sul tema dei rapporti centro-periferia. La storia del regionalismo italiano è tormentata. Le regioni vennero inserite in Costituzione nel 1948 ma solo nel 1970 si tennero le prime elezioni per i consigli regionali delle regioni a statuto ordinario, ma ci vollero altri 7 anni perché il governo si decidesse a delegare i poteri necessari all’esercizio delle scarse funzioni conferite. E’ per questa ragione che nella prima commissione parlamentare bicamerale sulle riforme istituzionali (la “Commissione Bozzi”, che lavorò dal 1983 al 1985) non si discusse di forma di Stato o di ridefinizione delle competenze tra centro e periferia: con la sola eccezione di quelle speciali, il grosso dell’apparato regionale era operativo da pochi anni e quindi il giudizio sul buono o cattivo funzionamento della nuova istituzione era per certi versi sospeso.
La seconda bicamerale – la De Mita/Jotti (1992-94) – invece lavorò parecchio per rimettere mano al regionalismo. Erano i tempi di frana della I Repubblica e del boom elettorale della Lega Nord e da quella commissione uscì la base (predisposta da Augusto Barbera) della successiva riforma del Titolo V della Costituzione (2001), avvenuta dopo il passaggio attraverso una terza bicamerale, la D’Alema (1997-98). Poi sul tema si innestò la bizzarra riscrittura costituzionale del 2005, bocciata da referendum confermativo del 2006, che di fatto congelò la situazione.
Potrei continuare oltre, parlando di leggi attuative, di norme in itinere ecc. ecc. ma mi fermo qua, perché non siamo in un aula universitaria ma su un blog. Però ci tengo a ricordare che cosa sosteneva la retorica “devoluzionista” (federalista o regionalista che fosse) per giustificare un massiccio trasferimento di poteri, funzioni e risorse dal centro alla periferia:
1. “Piccolo è bello”. La dimensione locale consente l’attivazione di politiche più vicine ai cittadini e alle loro esigenze, meno influenzate da logiche “macropolitiche” che sfuggono ai bisogni reali del territorio.
2. “Piccolo conviene”. Spostare l’asse della spesa dal centro alla periferia può portare a maggior efficienza nella gestione dei conti pubblici, perché il controllo esercitato dai cittadini è più stringente e il senso di responsabilità dell’eletto è maggiore.
3. “Piccolo è più democratico”. Nella dimensione territoriale regionale il politico è più controllato, perché le logiche del consenso sul territorio comportano un dialogo più diretto e positivo, un minor margine di autonomia per l’eletto per quanto riguarda l’attivazione di comportamenti da “casta”.
Bene. Nessuno dei tre punti ha retto alla prova dei fatti. Dopo 10 anni di regionalismo rafforzato, la congruità dell’attivazione di politiche pubbliche in base ai bisogni dei cittadini è clamorosamente smentita dai fatti (come – ad esempio – la politica della sanità lombarda), la spesa pubblica è esplosa e in quanto alla “responsabilizzazione” beh, i vari casi “Batman” sparsi in giro per l’Italia parlano da soli e per quanto riguarda la raccolta del consenso, poche competizioni sono più rette da logiche clientelari di quelle regionali.
E così, mentre sentivo il funzionario dell’Alto Adige che si lamentava perché con il nuovo corso della politica economica a Trento e Bolzano devono rassegnarsi a piastrellare i marciapiedi d’argento e non più di platino come avveniva nei tempi d’oro mi torna in mente una mia vecchia convinzione, detta e ridetta quando faccio il professore e che – quando sarò vecchio – cercherò di dimostrare in qualche pensoso e fondamentale studio: il federalismo funziona solo nei paesi protestanti (USA, Svizzera, Germania…) perché hanno una cultura civica diversa… in quelli cattolici finisce per diventare feudalesimo…
Autore: Marco Cucchini