07/01/2012 – Detta così sembrerebbe tutto semplice: le elezioni politiche si giocheranno al Senato, e poiché con l’accordo Pdl-Lega la Lombardia torna in bilico, tutto dipende dalla Lombardia. Che diventa per l’Italia quello che per le presidenziali degli Stati Uniti è l’Ohio.
Epperò, al netto della vulgata sull’Ohio lombardo, il quadro è assai più complesso. Domani Roberto D’Alimonte pubblicherà sul Sole24Ore un sondaggio proprio sul Senato. All’HuffPost D’Alimonte spiega: “La Lombardia da sola non è decisiva . Se l’alleanza tra Pd e Sel dovesse perdere solo in Lombardia comunque avrebbe una maggioranza al Senato, sia pur risicata, ma avrebbe una maggioranza. Se invece perde Lombardia e Veneto è altra cosa”. Ecco il punto. Non c’è dubbio che l’alleanza tra Pdl e Lega fa tornare in partita il centrodestra, e che, come si dice in gergo, la Lombardia torna contendibile. Per gli elettori del centrodestra il vecchio asse del Nord rappresenta un “voto utile”, che consente di incidere nello scenario politico nazionale, e non solo un voto di testimonianza, come sarebbe stato quello al Pdl o alla Lega impegnati in una corsa solitaria.
Ma la Lombardia potrebbe non bastare. E neanche detto che l’alleanza tra Pdl e Lega sia facilmente digerita dai veneti visto che Maroni ha in mano un sondaggio in base al quale con Berlusconi in campo il suo elettorato nel Veneto si dimezza. Tuttavia è proprio nel gioco che si apre oggi in Lombardia che ci sono parecchie variabili. Perché, al netto della propaganda dei sottoscrittori del patto, l’accordo tra Pdl e Lega non appare come un matrimonio politico vero, ma piuttosto come una convivenza di circostanza. “Funzionale” lo ha definito Roberto Maroni. Per il segretario della Lega è l’amaro calice da bere per provare a vincere in Lombardia, la sua battaglia della vita.Per Berlusconi è la carta necessaria per giocarsi la sua partita della vita al Senato, a costo di bere l’amaro calice di un passo indietro sulla sua candidatura a premier.
L’alleanza di circostanza è sintetizzata dall’ammuina sul candidato premier, ruolo per il quale Berlusconi ha indicato Alfano e Maroni ha indicato Tremonti. Il che lascia intendere come sia l’uno sia l’altro sono consapevoli che non vinceranno le elezioni e che quindi il problema nemmeno si porrà. Sia come sia è la prima volta che il centrodestra corre senza candidato premier, ed è la prima volta con Berlusconi in campo. È un dato non irrilevante – e qui veniamo alla questione lombarda – per comprendere se a livello regionale, in Lombardia, sarà il voto regionale a Maroni a trainare quello nazionale al Senato o viceversa. E su questo punto c’è un dato interessante. Il centrosinistra punterà sul traino nazionale, e non è un caso che ha candidato Bersani proprio in Lombardia. Il centrodestra punta invece sul traino di Maroni, affidando alla Lega quel ruolo di motore dell’alleanza che alle politiche ha sempre avuto Berlusconi.
In Lombardia chi vince al Senato conquista 27 seggi, mentre ai perdenti sono riservati 22 seggi. D’Alimonte sostiene che non è detto che se Pd e Sel perdono la Lombardia automaticamente perdono il Senato. Il punto è che “dipende” da come perdono. E questo “dipende” da quante sono le liste che si dividono i seggi tra i perdenti. Il che significa che la lista Monti dà molto fastidio al Pd, in questo nuovo quadro visto che certamente sarà tra le perdenti dopo l’accordo Pdl-Lega. Il paradosso è che l’esperimento montiano di Albertini, utile al Pd a livello regionale perché prende voti al centrodestra, a livello nazionale penalizza l’alleanza di Bersani.
E c’è un motivo se il minuto dopo che è stato siglato l’accordo con la Lega Berlusconi e il suo stato maggiore hanno cominciato a picchiare duro sulla sinistra. Dopo settimane di attacchi a Monti sono tornati i comunisti. Il Cavaliere vuole fare del centro montiano un luogo di conquista all’insegna del “voto utile” riproducendo, in questa campagna elettorale, lo schema classico della seconda repubblica. E non è un caso che in Lombardia stia cercando si smontare l’alleanza che sostiene Albertini. L’ex premier ha chiesto a Formigoni di sostenere Maroni, in cambio di un posto sicuro da capolista al Senato. E pare che il Celeste abbia accettato, dopo che la sua trattativa con i montiani non è andata bene. Già, perché Formigoni era pronto a dar vita a una lista – Lombardia popolare – per sostenere Monti al Senato e in regione Albertini. Il problema è che il Celeste è indigeribile per molti montiani, a partire dall’ex ministro Riccardi che, fosse per lui, sosterrebbe Ambrosoli.
La notizia è che proprio alla vicenda di Formigoni è legata la candidatura di Albertini. L’ex sindaco aveva messo in conto l’accordo Pdl-Lega, ma senza Formigoni – ha confidato ai suoi – potrebbe tornare indietro. Il che, come dicevamo, avrebbe ricadute pesanti. A livello regionale favorirebbe Maroni e a livello nazionale Bersani. Mentre Monti, a questo punto, ha tutto l’interesse affinché Albertini resti in campo, altrimenti rischia di essere irrilevante. Il suo polo, ora che è tornata una dinamica tradizionale tra Bersani e Berlusconi rischia di perdere progressivamente appeal. Nel gioco degli schieramenti attuali, i primi due posti sono occupati da Bersani e Berlusconi. La sua corsa è per il terzo posto, al posto di Beppe Grillo.
Fonte: huffingtonpost.it | Autore: Alessandro De Angelis