11/01/2012 – Sembra un flash-back, un ritorno al ’94 – sinistramente evocato dallo stesso Michele Santoro riproponendo ieri sera, in apertura dell’attesissima puntata del suo “Servizio Pubblico” con Silvio Berlusconi, un filmato della prima campagna elettorale del Cavaliere: eccolo là, il Caimano, è sempre lui, è sempre il mattatore assoluto della politica italiana, come devono riconoscere anche i più accaniti detrattori, un 76enne che sembra pieno di un Viagra comunicativo strapotente, in grado come nessuno di tenere la scena televisiva e di raccattare consensi anche all’ultimo minuto, in barba a tutte le numerosissime dimostrazioni di inconcludenza, che – da vero vero fuoriclasse qual è – non nega ma addebita sempre e totalmente a qualcun altro.
Eppure, più che una vittoria di Berlusconi, la serata di ieri sarà oggi celebrata dall’Auditel come una sconfitta degli altri: il buon Bersani a Porta a Porta, il sarcastico (ma “de che”?) D’Alema dalla Gruber. Niente da fare, l’audience è sempre tutta per lui, e bastava un “second screen” (vanno tanto di moda adesso) su cui chattare in Facebook o su Twitter per prendere atto che tutti i commenti erano per lui, il Berlusca.
Eppure, in quella che chiunque, onestamente, dovrà riconoscere come una vittoria mediatica del Cavaliere si vedeva in trasparenza anche la sua inguaribile tara politica, quella di essersi sempre circondato di mediocri yes-man. Per effetto del suo totalizzante egocentrismo.
Quando Berlusconi ha annunciato di aver portato con sé una lettera per Travaglio da leggere, il pubblico ha pregustato l’acme del divertimento televisivo, perché dopo i due soliti siluri lanciati dal giornalista, cattivo come sempre, uno “Scud” di Berlusconi avrebbe dovuto e potuto essere della stessa lega. Invece, effettivamente, elencare con tutti gli estremi le dieci condanne civili incassate da Travaglio per danni da diffamazione è stata la scelta comunicazionale sbagliata propinatagli da qualche zelante incapace, sarebbe bastato ricordarle e magari ricordarne le vittime in trenta parole per segnare il punto (“Travaglio diffamatore dieci volte”) senza ammorbare il pubblico con una litania che Santoro ha fatto bene a interrompere. Nell’unico momento in cui la verve del giornalista-imbonitore più bravo del mercato è sembrata prevalere sulla faccia di tolla dell’altro.
In fondo, ben altri errori ha fatto il Cavaliere nella sua storia politica quando si è trattato di scegliersi la squadra. Una squadra quasi sempre piena di finti amici, incapace – o forse non sinceramente desiderosa – di metterlo al riparo da se stesso neanche sul fronte privato, la manicalità sessuale, quello su cui è crollata la sua credibilità di uomo pubblico ben prima che l’impennata dello spread gli assestasse il colpo di grazia.
Dunque, come sempre finora dalla sua discesa in campo in poi, Berlusconi fa tutto da solo: l’opposizione a se stesso la guida personalmente. Per quanto lontane siano le elezioni, 45 giorni sono tanti, resta altamente improbabile che la sua pur trascinante campagna elettorale gli valga un riaggancio al favoritissimo Pd. Ma la statura comunicazionale dei contendenti, l’insopportabile Monti e il moscio Bersani, resta nettamente inferiore.
Non con le chiacchiere si dovrebbero vincere le campagne, ma saper fare chiacchiere conta e Berlusconi è imbattibile. E se per assurdo si verificasse l’impensabile, cioè appunto il riaggancio del Cavaliere, allora sì che il popolo piddino dovrebbe mille volte schiaffeggiarsi per aver bloccato in panchina l’unico che, quanto a chiacchiere, poteva battere il Cavaliere: Matteo Renzi.
Fonte: affaritaliani.libero.it | Autore: Sergio Luciano