14/01/2012 – “Il centrosinistra vincerà alla Camera, ma al Senato… ma al Senato…” Il cittadino digiuno di Diritto Costituzionale potrebbe chiedersi “perché la Camera sì e il Senato no?” La risposta è semplice. Perché si vota con due sistemi elettorali diversi e con un elettorato attivo diverso. E’ un’altro dei mali del Porcellum, vero e proprio vaso di Pandora di disgrazie elettorali.
La prima anomalia è l’attribuzione sia alla Camera che al Senato del potere di concedere (e togliere) la fiducia ai governi. Che sappia io (e un po’ ne so…) il nostro è il solo sistema nel quale vi siano due camere parimenti titolari della funzione fiduciaria, ma elette in modo diverso e quindi con la possibilità non casuale di maggioranze diverse. Ricordiamo le differenze del Senato, così capiremo meglio:
Secondo la normativa vigente, il Senato viene eletto su base regionale (come disposto dalla Costituzione, art. 57, comma 1), il che significa che non viene previsto un computo nazionale del totale dei voti ricevuti da ogni forza politica, ma la composizione dell’Assemblea è il prodotto di 20 diverse e distinte competizioni regionali, alle quali si aggiungono i risultati delle competizioni relative ai seggi spettanti agli italiani all’estero (6 su 315). Inoltre, gli elettori non sono tutti i cittadini maggiorenni, ma solo gli over 25 e – per raggiungere la maggioranza – bisogna computare anche la presenza dei senatori di diritto e a vita, che oggi sono 4 (Ciampi, Andreotti, Colombo, Monti).
Tornando al tema, queste 20 diverse competizioni regionali funzionano nel modo seguente:
- 17 competizione proporzionali con premio di maggioranza regionale pari al 55% dei seggi da assegnare alla singola regione;
- 2 competizioni regionali su collegi maggioritari uninominali, costruiti per favorire la rappresentanza delle regioni etnicamente plurali (Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige), che eleggono complessivamente 8 seggi;
- 1 competizione proporzionale senza premio di maggioranza, nella regione Molise, che elegge solo 2 senatori.
Pertanto, su 315 seggi elettivi, solo 299 vengono attribuiti con premio di maggioranza. Il premio di maggioranza regionale viene attribuito al partito/coalizione di partiti che ottiene anche un solo voto più della coalizione giunta seconda ed è prefissato nella misura di 55% dei seggi, eventualmente arrotondato all’unità superiore. Quindi, nel caso in cui in una regione debbano essere attribuiti complessivamente 40 seggi, il partito/coalizione vincente ne prende 22 quale che sia la percentuale complessiva di voti da esso raggiunti…
Complessivamente – quindi – nel caso in cui una coalizione fosse in grado di vincere tutte e 17 le competizioni regionali potrebbe conquistare 165 seggi e se tale trionfo dovesse estendersi anche alle 3 regioni senza premio di maggioranza e alla circoscrizione estero, allora il dato più alto raggiungibile sarebbe di 180, contro i 135 complessivamente spettanti ai secondi. Non male, ma impensabile.
Impensabile perchè la distribuzione dei voti è molto variabile da regione a regione e vi sono – per semplificare le cose – regioni nelle quali il centrodestra è probabile che vinca (Veneto, Lombardia, forse Friuli Venezia Giulia, forse Sicilia), regioni nelle quali il centrosinistra vince cascasse il Mondo (Toscana, Emilia Romagna) e regioni ballerine, che possono spostarsi ora di qua, ora di la.
Inoltre, a rendere intricato il problema, vi è che il Porcellum era stato concepito per una competizione bipolare, come nel 2006 e – in misura minore – nel 2008, così i seggi che non prendeva l’uno, andavano all’altro. Ma stavolta non sarà così. Proprio no, questo perché ci sono almeno altre due coalizioni in grado di accedere al riparto dei seggi in quasi tutte le regioni: il blocco montiano e il Movimento 5 Stelle. Per capirci, prendiamo un caso semplice, di una regione piccola, il Friuli Venezia Giulia, casa mia.
Nel 2006 e nel 2008 al Senato ha sempre vinto il centrodestra e si è conquistato 4 dei 7 seggi in palio. I 3 seggi rimanenti sono andati sempre al centrosinistra, nel 2006 perché non vi erano altre coalizioni e nel 2008 perché né Bertinotti, né Casini hanno raggiunto il quorum dell’8% che la legge prevede per l’accesso al riparto regionale. Questa volta non sarà così: la coalizione vincente si prenderà sempre 4 seggi, ma i 3 residui verranno divisi tra le altre coalizioni e – visto il sistema di riparto (coefficienti interi e più altri resti su base regionale) – questo probabilmente significherà che i 3 seggi residui saranno attribuiti 1 – 1 – 1. Il PD, per capirci, o ottiene 4 eletti, oppure ne ottiene 1. Difficilmente 2, certo non 3.
Ora, immaginate questo calcolo moltiplicato per tutte le 17 regioni. O anche solo per le regioni che potrebbero andare a destra e si capirà come il pareggio al Senato – e quindi la prospettiva di un paese ingovernabile – sia non solo una tendenza, ma forse pure un destino. Pertanto, sotto certi aspetti il risultato delle elezioni è già scritto: maggioranza al centrosinistra alla Camera, pareggio al Senato e quindi – al di là della propaganda elettorale – Grande Coalizione o governo Sinistra-centro.
Non saranno mesi e anni facili, neppure i prossimi. L’infinita transizione italiana continua a non finire e a questo punto è obbligatorio chiedersi: siamo certi che il Paese sia “in transizione”? Dopo quanti anni l’incerto diventa la regola?
Autore: Marco Cucchini
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