29/01/2013 – Da molte elezioni si registra un costante abbandono di questi “fondamentali” che hanno lasciato il passo quasi sempre alla mediocre creatività di pubblicitari di basso profilo (quando non è lo stesso candidato a cimentarsi nella scelta dello slogan e dell’immagine) che interpretano il loro ruolo esclusivamente in una chiave emozionale attraverso l’utilizzo di immagini e di frasi ad effetto. Esempi, nomi, cognomi e partiti.
Le nostre città cominciano a riempirsi dei manifesti elettorali e, fra poco, è presumibile che anche le televisioni private saranno invase dai messaggi elettorali dei candidati, a meno che il clima del Paese non induca a un salutare taglio di questi investimenti.
Chiediamoci da un punto di vista tecnico a cosa servono questi momenti e strumenti di comunicazione: la risposta è a informare e a motivare verso una scelta.
1) Innanzi tutto informano che Mario Rossi è candidato in una determinata lista
2) Dovrebbero aiutare a identificare Mario Rossi, al di là della foto: chi è, cosa fa, ma soprattutto quali contenuti propone…
3) Dovrebbero contenere un messaggio che aiuti l’elettore a scegliere quel candidato facendo riferimento ai suoi valori e al programma cui aderisce.
Da molte elezioni a questa parte dobbiamo registrare un costante abbandono di questi “fondamentali” che hanno lasciato il passo quasi sempre alla mediocre creatività di pubblicitari di basso profilo (quando non è lo stesso candidato a cimentarsi nella scelta dello slogan e dell’immagine) che interpretano il loro ruolo esclusivamente in una chiave emozionale attraverso l’utilizzo di immagini e di frasi ad effetto, ispirate dal mondo pubblicitario, prive di logica che, il più delle volte, colpiscono essenzialmente per l’effetto ilare che generano.
A quanto abbiamo visto fino ad oggi anche la presente campagna non si discosta dalle precedenti. Abbiamo letto frasi come: “A viso aperto“; “Noi siamo noi“ (?!?); “Cambiamo tutto” e così via, abbinate a foto “artistiche” copiate, come stile, dai rotocalchi generalisti.
Ma anche le campagne dei leader e dei raggruppamenti più importanti non si discostano da questo “stile”: andiamo da “Noi difendiamo i deboli“ dell’Udc a “L’Italia che sale” della lista Monti, al discusso “Italia Giusta” di Bersani, a “Benvenuta sinistra” di Vendola.
Se escludiamo “Sfida il futuro senza paura” della Meloni, che dà un orizzonte temporale abbinato a un contenuto emotivo individuale (e quindi adatto alla percezione dell’elettore) ma che si concretizza nel gruppo di riferimento (Fratelli d’Italia, gruppo politico ma anche identificativo del Paese), le altre frasi appaiono molto piatte e statiche.
Ha ragione Oscar Giannino quando giorni fa lamentava che la campagna elettorale era ritornata alla contrapposizione in trincea. Si sono persi per strada programmi e contenuti, ma soprattutto valori anche ideologici di riferimento che consentirebbero di illustrare per quale società e quale domani dobbiamo lavorare e sacrificarci per consegnarla ai nostri figli e nipoti.
Resta una frase vuota che indica un’azione ed un significato neanche tanto coinvolgente. Merita attenzione, ad esempio, la frase “Italia giusta” abbinata al Partito Democratico. Essa presuppone che al di fuori di quella componente ci sia un Italia ingiusta. Ma si fatica a percepire quali siano le variabili del giusto o dell’ingiusto ed inevitabilmente si identifica l’ingiustizia nell’avversario politico e quindi ancora una volta non si sceglie sulla base di progetti diversi ma sullo scontro fra leader.
Da questo punto di vista, se non intervengono fattori nuovi, il più probabile vincitore è il Cavaliere che, su questo terreno, è imbattibile.
Fonte: formiche.net | Autore: Umberto Malusà