02/02/2013 – I numeri non saranno quelli sbandierati da Silvio Berlusconi, ma che la campagna elettorale non proceda secondo speranze e aspettative del Pd è innegabile. Una rimonta da destra c’è. Il Cav ama usare le cifre dei sondaggi con compiacenti elargizioni. Torniamo al ’94: il mondo politico rimase stupefatto dall’utilizzo incessante che egli faceva dei sondaggi, strumento allora poco amato dai partiti, anche perché ritenuto inaffidabile.
Berlusconi, poi, per galvanizzare i propri seguaci amava, ogni settimana, segnalare un’avanzata percentuale in termini tali che, se i numeri resi pubblici fossero stati veri, alle elezioni Fi avrebbe ottenuto da sola la maggioranza assoluta. Da allora a oggi si è servito dei sondaggi secondo alcune costanti, mai rinnegate.
Intanto, per lui contano soltanto le ricerche effettuate dagli operatori di propria fiducia: i numeri di altra provenienza o li ignora o li sbeffeggia. Ecco perché, pure adesso, ama ripetere i dati di Euromedia, proclamati come fossero i risultati delle urne.
Poi, se i sondaggi di riferimento non sono favorevoli, tace. Vi sono stati anni interi in cui l’abisso percentuale segnalatogli era così grave che non una sola volta faceva cenno ai sondaggi. Quando proprio doveva riferirsi a essi, non citava numeri ma solo tendenze. Ovviamente, adesso che tutti gli istituti segnalano, dall’avvio della campagna elettorale in poi, una risalita del centro-destra e una diminuzione del centro-sinistra, il Cav può divertirsi a esaltare gli elettori perfino con affermazioni del tipo «Siamo a un passo dalla vittoria».
Ancora. Berlusconi è, diciamo così, un po’ prestigiatore nella divulgazione dei numeri, che vengono allegramente ridotti, incrementati, esagerati, sminuiti, secondo opportunità. Ergo: è necessario prendere con estrema cautela le sue affermazioni in tema di previsioni elettorali. Però, fatta la tara, resta la realtà. La quale è semplice: il Pd deve giocare in difesa.
L’irritazione è palese. Le minacce di sbranate e di querele arrivate da Pier Luigi Bersani rivelano la consapevolezza di annaspare tra le difficoltà. L’affare Montepaschi costringe il partito a distogliere l’attenzione da altri temi per tutelarsi dalle vicende senesi, a volte in forme ben poco convincenti, come il ridurre la faccenda a errori di singoli esponenti locali (amministratori o banchieri) o chiamare gli altri a teoriche corresponsabilità o rinfacciare ad altri partiti qualche scandalo bancario. Tutte queste repliche paiono poco persuasive.
La rabbia che traspare da dichiarazioni e perfino atteggiamenti dei vertici del Pd parla da sola. All’annuncio delle elezioni non c’erano timori; poi, hanno riguardato la tenuta del Senato, o meglio di un paio di regioni; da ultimo, si è esteso il numero delle regioni incerte. Adesso a via del Nazareno le perplessità toccano perfino il vantaggio alla Camera, che nessuno pone in discussione, ma più di uno guarda lentamente calare. La verità è che il Pd è sottoposto a una lenta cottura: resta solo da vedere se le tre settimane esatte mancanti al voto ultimeranno il rosolamento.
Fonte: italiaoggi.it | Autore: Marco Bertoncini