03/02/2013 – Quanto vale alle urne l’asso rossonero? Al leader Pdl non servirà allora ma oggi.
Quanti voti vale Mario Balotelli? Inutile chiederlo a lui: giustamente, pensa più ai gol che ai seggi; e se proprio dovesse occuparsi di candidati, andrebbe nella giuria di un talent-show. Ma il resto d’Italia – milanisti compresi – qualche domanda se la sta facendo. Senso di responsabilità, preoccupazioni per possibili derive populiste? Non esageriamo. Pura e semplice curiosità.
A tre settimane dalle elezioni si può solo immaginare quanto accadrà. E la nostra immaginazione spinge in questa direzione: Mario serve oggi più di quanto servirà il giorno del voto. Il 24 e 25 febbraio saremo tutti più prosaici. Chi voterà Pdl non lo farà per un centravanti, si spera; chi sceglierà un altro partito non si lascerà distrarre da un tiro in porta.
Ma bisogna arrivarci, al giorno del voto. Silvio Berlusconi sa di rappresentare una vecchia novità, e deve costantemente sorprendere: chi resta a bocca aperta, di solito, non si mette a far di conto. SuperMario è il personaggio insolito, necessario a metà romanzo, quando l’attenzione comincia a declinare. La narrativa di Berlusconi è chiara. Ma gli avversari – ad eccezione di Matteo Renzi – faticano a leggerne la trama.
Scandalizzarsi? Sì, forse, per il conflitto d’interessi: ma abbiamo visto di peggio, in materia, e quello del calcio è ormai metabolizzato. È inutile protestare: la politica dovrebbe essere proposta, ma è anche illusione. L’illusionista, un tempo, tirava fuori un coniglio dal cilindro. Oggi estrae un economista, una cantante o un calciatore. I bambini tra il pubblico – il pubblico è sempre un po’ bambino – applaudono. Per due ore non hanno pensato al mondo là fuori.
Ecco a cosa punta, il candidato premier Silvio Berlusconi: a distrarci. Una distrazione indotta da bonomia, sorrisi, omissioni, semplificazioni e colpi di scena. Ricordare che solo Haiti e Zimbabwe, tra il 2001 e il 2011 (quando abbiamo rischiato la bancarotta), sono cresciuti meno dell’Italia? Meglio di no, pensa Cavalier Oblivion, che in otto di quei dieci anni tracciava la rotta e guidava la nave. Le sue sirene politiche, oggi, cantano canzoni seducenti: andrà tutto bene, non c’è bisogno di sacrifici, la vita è bella e il campo, in televisione, è sempre verde.
L’acquisto di Balotelli non è una coincidenza. E il procedimento non è nuovo. Noi uomini, a una certa età, diventiamo prevedibili: negli entusiasmi e nei corteggiamenti, nelle soluzioni e nelle giustificazioni. Qualcosa di simile è già successo, infatti, nel 2010. Dopo le vittorie degli Anni 90, che ne avevano accompagnato e favorito il successo politico, e due vittorie europee nel 2003 e 2007, Silvio Berlusconi sembrava disamorato della squadra. Il Milan, in quattro campionati, aveva accumulato 79 punti di distacco dall’Inter. Improvvisamente, in estate, nel giro di quarantotto ore, arrivarono Ibrahimovic e Robinho, due giocatori ottimi e costosi.
Cos’era accaduto? Secondo il sondaggista Luigi Crespi,un tempo il favorito di Berlusconi, «una lobby trasversale di manager, uomini politici, giornalisti, gente di spettacolo e di cultura milanisti» aveva commissionato un sondaggio dai risultati sorprendenti: «Il premier avrebbe rischiato di perdere il 20-25 per cento dei milanisti che votavano Pdl. In termini elettorali si sarebbe trattato di una perdita di almeno mezzo milione di voti, pari a 2 punti percentuali».
Stavolta non c’è stato bisogno del sondaggio. Silvio Berlusconi, che l’8 gennaio scorso aveva definito Balotelli «una mela marcia» in grado di «infettare lo spogliatoio del Milan» ha fatto i suoi conti, e ha cambiato idea: succede. Questo avrebbe dovuto dire Adriano Galliani, invece di contraddire il giocatore e stizzirsi con una collega del Tg1: «Il presidente non si è scusato. Il presidente ha precisato di non aver mai detto questa cosa!» (già che ci siamo: qualcuno informi l’analogico dirigente rossonero che esiste Internet, e certe uscite risultano grottesche).
Mario Balotelli come espediente narrativo e talismano contro l’insuccesso. Perché l’insuccesso, nella cosmogonia berlusconiana, costituisce un’onta. La prospettiva della vittoria, per quanto remota, è invece un lungo, delizioso preliminare. Silvio Berlusconi, come Beppe Grillo, e a differenza di altri concorrenti, sa quale canto intonare. Ha capito che un’Italia ansiosa e impoverita è tentata dalla rimozione. Risalire la corrente è impegnativo, lasciarsi andare è dolce. Un sorriso, uno scherzo, un’omissione, una canzone, un incantesimo: le sirene le provano tutte.
I marinai nell’Odissea, come sappiamo, si salvarono. Ma il comandante gli aveva turato le orecchie con la cera. Non gli aveva comprato un centravanti.
Fonte: corriere.it | Autore: Beppe Severgnini