20/02/2013 – In Italia così come in molti paesi esteri alcune elezioni hanno smentito clamorosamente le rilevazioni condotte dagli istituti demoscopici. Vediamo qualche esempio concreto, giusto per terrorizzare chi ci punta.
“Siamo in rimonta, i nostri sondaggi ci dicono che siamo ormai prossimi al sorpasso…” Questa frase è stata ripetuta decine di volte nelle campagne elettorali italiane, favorite dal black out mediatico imposto alla pubblicazione delle intenzioni di voto a due settimane dalle elezioni. Nel nostro paese, così come all’estero, la storia recente è piuttosto ricca di sorprese regalate dai numeri veri che hanno contraddetto il quadro illustrato dai sondaggi.
NO, I SONDAGGI NO – Una particolare specialità italiana è la sorpresa da sondaggio. Gli istituti del nostro paese, al di là di un’opinione comune piuttosto ostile, hanno ottenuto negli anni risultati meno negativi di quanto si creda. Basti pensare alle recenti primarie del centrosinistra: nonostante un campione piuttosto difficile da costruire, la maggior parte degli istituti hanno rilevato con buona precisione sia il chiaro vantaggio di Bersani al primo turno, ed il suo valore non prossimo al decisivo 50%+1 delle preferenze, sia il netto successo poi ottenuto al ballottaggio. Negli anni però gli errori dei sondaggisti sono diventati celebri, anche per l’incomprensione, piuttosto diffusa, di cosa sia in realtà un’indagine sulle intenzioni di voto. I sondaggi d’opinione sono analisi statistiche che si pongono l’obiettivo di conoscere le opinioni di un determinato gruppo della popolazione tramite la composizione di un campione rappresentativo dell’universo di riferimento che si vuole interrogare. Dal punto di vista politico le indagini demoscopiche forniscono la fotografia, come ama dire chi li realizza, dell’elettorato nei vari momenti nei quali si snoda la lunga competizione che precede l’apertura dei seggi. La stessa definizione di fotografia è però piuttosto scivolosa, visto che in realtà le dinamiche elettorali non sono né così mutevoli come reclamano i sondaggisti per coprire i loro eventuali errori nel campionamento, e neppure così statiche come chi crede al valore di una singola rilevazione. In Italia la frammentazione politica e la continua ridefinizione del quadro partito rendono poi ancora più aspra la vita agli istituti demoscopici, anche a causa di errori piuttosto rilevanti capitati negli ultimi anni.
SBAGLIO PER ECCELLENZA – Quando si parla di errori dei sondaggi elettorali, il primo caso che viene in mente nel nostro paese sono ovviamente le politiche del 2006. All’epoca l’Unione guidava le intenzioni di voto con un discreto margine di vantaggio, pari ad una forchetta tra i tre ed i cinque punti, e gli stessi exit poll della Rai confermarono questo gap a favore del centrosinistra il pomeriggio dell’8 aprile. Lo spoglio, lentissimo, delle schede però presentò un’altra realtà, con la Casa della Libertà praticamente incollata alla coalizione guidata da Romano Prodi. Una situazione piuttosto simile all’attuale, con una rimonta inaspettata di Berlusconi che partiva già sconfitto secondo tutti gli osservatori, anche se all’epoca il quadro politico era rigidamente bipolare, per quanto frammentato, e la ripresa economica in atto favoriva chi veniva da un’esperienza di governo caratterizzata sin dall’inizio dalla lunga recessione successiva allo scoppio della new economy e poi alle conseguenze dell’11 settembre. Anche se meno noti, altri errori dei sondaggisti hanno costellato le più o meno recenti campagne elettorali del nostro paese. Se nel 2012 le intenzioni di voto furono piuttosto esigue, visto lo scarso peso delle consultazioni, nel 2011, l’anno più trionfale per il centrosinistra, praticamente nessun sondaggista, con l’eccezione di Ipsos, aveva rilevato la contemporanea contrazione dei consensi di Pdl e Lega, e la crescita del Pd e dei suoi alleati che poi portò ai clamorosi successi di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli.
ERRORI RECENTI – I sondaggi sulle amministrative avevano rilevato in realtà dato ancora più distanti dalla realtà, con la Moratti in testa, anche se piuttosto lontana dal 50%, e con il candidato del Pdl Gianni Lettieri in vantaggio. Ancora più clamoroso fu l’errore delle prime proiezioni sulle comunali di Milano, con Pisapia in leggero vantaggio rispetto invece al netto gap che era già riuscito a scavare al primo turno sul sindaco uscente Letizia Moratti.Anche nel 2010 le intenzioni di voto condotte prima delle regionali avevano rilevato una situazione più equilibrata, soprattutto nella decisiva sfida del Lazio, rispetto ai risultati finali. Errori però meno marchiani rispetto al 2011, anche se nella giornata dello spoglio Digis, la società che doveva realizzare gli exit poll per Sky, preferì non pubblicarli per la scarsa chiarezza dei dati raccolti. Nel 2009 invece la vera sorpresa delle elezioni, il calo del Popolo della Libertà rispetto alle politiche, non era stato colto da nessun istituto demoscopico. A parziale giustificazione di questo errore, bisogna però rimarcare come la maggior parte dei sondaggi rilevino le intenzioni di voto per le politiche, consultazioni che hanno una mobilitazione elettorale superiore rispetto alle altre elezioni, amministrative o europee come nel 2009. Il piccolo tonfo al 35% dell’allora dominante Pdl colse però tutti di sorpresa, visto che l’obiettivo della formazione di Berlusconi era il superamento della soglia psicologica del 40%, indicata come possibile dalla gran parte dei sondaggi.
RIMONTE CHE NON C’ERANO – Il divieto di pubblicazione dei sondaggi imposto ai media a due settimane dalle elezioni ha favorito la nascita di un curioso fenomeno tutto italiano, la narrazione di una favolosa rimonta che poi non si è verificata nelle urne. Il primo protagonista di questa “recita” fu Francesco Rutelli, il leader del centrosinistra alle elezioni del 2001. L’allora sindaco di Roma raccontò a lungo di un ormai imminente sorpasso, che si tradusse nella più netta maggioranza mai raccolta dal centrodestra nella storia recente del nostro paese. A parziale giustificazione di Rutelli bisogna però rimarcare come l’Ulivo, riesumato per l’occasione, rimontò nel maggioritario, mentre il distacco con la Casa della Libertà nel proporzionale era rimasto assai ampio. Assai più surreale fu invece il racconto delle politiche del 2008 in cui si esercitò Walter Veltroni. Il leader dell’appena nato Partito Democratico era partito da una situazione molto difficile, con il centrosinistra assai distante dal centrodestra. La scelta di rompere l’alleanza portò ad una crescita di questo distacco, che poi fu parzialmente diminuito dalla separazione della formazioni minori dal duo Pdl e Lega Nord. Se i sondaggi a due settimane dal voto rilevavano un distacco piuttosto netto, poi confermato dall’esito del voto, poco prima del black out il segretario del PD iniziò a raccontare di un’emozionante testa a testa con Berlusconi, appellandosi al voto utile. Ancora più clamorosi dei numeri di Veltroni furono gli exit poll realizzati per Sky, che rilevavano il PD primo partito ed il centrodestra di poco davanti alla Camera. Appena arrivarono le proiezioni, il quadro mutò radicalmente, e nonostante i sondaggi della vigilia fossero stati piuttosto precisi, si generò una sensazione di un altro grande errore dopo il fallimentare 2006.
LEZIONI DALL’ESTERO – La storia più o meno recente dei principali paesi industrializzati è ricca di errori dei sondaggisti che avevano falsato il racconto delle campagne elettorali. Anche se ormai è molto lontano nel tempo, l’abbaglio più clamoroso fu sicuramente il quadro demoscopico rilevato prima delle elezioni della Gran Bretagna del 1992. All’epoca praticamente tutti gli istituti prevedevano la conclusione del lungo regno conservatore iniziato con la vittoria della Thatcher nel 1979. The Sun, il tabloid di Murdoch che in quegli anni aveva sostenuto la rivoluzione conservatrice della Lady di Ferro aveva perfino titolato il giorno delle elezioni sull’addio al Regno Unito in caso di vittoria di Kinnock. Il leader laburista era il grande favorito per il numero 10 di Downing Street, ma nonostante i sondaggi prevedessero una maggioranza progressista alla Camera dei Comuni, i britannici confermarono piuttosto nettamente i Tory guidati da John Major. Lo sbaglio fu così netto che da allora si iniziò a parlare dello “Shy Tory Factor”, l’elettore di centrodestra che preferiva non dichiarare il proprio voto per timore o vergogna. Negli ultimi anni rimane clamoroso l’errore compiuto dai sondaggisti tedeschi nel 2005, che avevano rilevato una netta maggioranza per la coalizione liberal conservatrice guidata da Angela Merkel. La leader della Cdu fu eletta cancelliera, ma a dispetto delle intenzioni di voto fu costretta a governare coi socialdemocratici nella seconda edizione tedesca della Grande Coalizione. Il consenso del campo borghese era stato sopravvalutato dagli istituti demoscopici di almeno cinque punti, uno sbaglio che fornì lo spunto ad una memorabile, e controversa, apparizione televisiva di Gerhard Scroeder, cancelliere dato per spacciato che invece riuscì con una forte rimonta a regalare al suo partito ancora quattro di governo, per quanto in minoranza. Nel 2010 la campagna elettorale del Regno Unito fu caratterizzata dall’esplosione demoscopica dei Liberal Democratici di Nick Clegg, che venivano rilevati in corsia di sorpasso rispetto ai laburisti, così da ottenere uno storico secondo posto dopo anni di marginalità nel sistema politico britannico. Le urne regalarono sì una batosta storica al partito del premier Gordon Brown, ma i LibDem persero addirittura cinque seggi rispetto alle precedenti elezioni, guadagnando solo un punto percentuale. L’errore più recente, anche se poco discusso, è stato invece compiuto dai maestri delle indagini demoscopiche, i sondaggisti statunitensi. Nelle presidenziali del 2012 la maggior parte degli istituti americani ha rilevato una situazione di quasi perfetto equilibrio, che ha sottostimato i consensi di Barack Obama. Il presidente è stato confermato per il suo secondo mandato in modo piuttosto netto, con un vantaggio finale di quasi quattro punti su Mitt Romney, che si è risolto in un conseguente successo molto chiaro nel Collegio Elettorale. Negli ultimi 21 giorni di campagna elettorale però la media dei sondaggi pubblicati registrava un distacco tra i due candidati molto contenuto, per quanto Obama fosse quasi sempre rilevato in prima posizione. Anche per questo l’errore dei sondaggi è rimasto per lo più sconosciuto ai più, anche se a livello statistico lo sbaglio non era molto lontano rispetto al flop delle intenzioni di voto per le elezioni italiane del 2006. Ennesima conferma che i sondaggi sono strumenti scientifici spesso affidabili, ma non l’oracolo che molti ritengono, e neppure l’abbaglio sottolineato dai critici.
Fonte: giornalettismo.it | Autore: Andrea Mollica