01/03/2013 – Modello Sicilia è la parola che da più parti (più che altro
dalle parti di Sant’Andrea delle Fratte) viene ripetuta come
un mantra per scongiurare le ipotesi governissimo, “inciucio
con il giaguaro”, e tutte le altre amenità che verrebbero
rivolte dagli elettori al partito guidato da Pier Luigi
Bersani in caso di alleanza con il Pdl.
E allora, perché non pensare al modello Sicilia, laddove il
presidente Rosario Crocetta (Pd-Udc) governa in minoranza in
un’Assemblea con una forte presenza 5 stelle (primo partito
nell’isola), e governa grazie (anche) ai 5 stelle, che di
volta in volta votano i provvedimenti che ritengono giusti.
C’è chi dice che a Palermo non durerà, ma per ora regge: e
lo si è visto anche nell’approvazione, da parte dell’Ars, di
leggi importanti come il Documento di programmazione
economico-finanziaria (Dpef) regionale.
L’Italia non è però la Sicilia, il presidente del Consiglio
deve ottenere la fiducia delle Camere, e votare la fiducia
vuol dire appoggiare il governo: e ad appoggiare un governo
Bersani non ci stanno (almeno a parole, almeno per ora) nè
Beppe Grillo nè (ma è già più possibilista, Silvio
Berlusconi). Che fare? Marco Cucchini, docente di Diritto
costituzionale all’Università di Trieste e responsabile
dello studio di consulenza politica ed elettorale
Poli@rchia, una risposta l’ha trovata. Quanto sia
praticabile politicamente è materia da indovini, certo è che
le alternative per estendere realmente il modello Sicilia su
base nazionale non sono molte.
Cucchini propone, e lo dice lui stesso, “una soluzione che
consenta contemporaneamente al governo di nascere e ai M5S
di rimanere formalmente all’opposizione: considerato che la
differenza tra centrosinistra e centrodestra è di 27 seggi e
che per evitare che manchi il numero legale in aula, oltre
che ai parlamentari della maggioranza devono essere presenti
almeno 16 dell’opposizione, il M5s rimanga in aula con 20
senatori e voti contro la fiducia al governo. A questo
punto, la somma dei sì sarà comunque superiore a quella dei
no (144-137), il governo entra in carica ma il M5s è
formalmente un partito che non ha votato la fiducia al
governo ed è libero di valutare volta per volta,
provvedimento per provvedimento”.
Questo perchè, spiega sempre il professore, le altre due
ipotesi sul piatto non reggono: ovvero che “al momento del
voto, M5s esca dall’aula, così finisce 144 per il governo
(centrosinistra + Bersani), 117 per l’opposizione
(centrodestra) e fiducia ottenuta. Ok, però che fare, se
anche il Pdl esce dall’aula? Manca il numero legale e siamo
da capo”. Non solo, questo significherebbe appoggio esterno
evidente da parte del Movimento 5 stelle, una cosa già
esclusa da Grillo. L’altra ipotesi, continua Cucchini, “è
che il M5s rimane in aula e si astiene. Non funziona, dato
che al Senato i voti non dati valgono come voti contrari”.
Forzature, forse, ma è un periodo dove a furia di parlare di
modelli si rischia di rompere il giocattolo.
Fonte: Public Policy – Agenzia di Stampa Politica e Parlamentare | Autore: Gaetano Veninata | Sito: publicpolicy.it