Se la situazione s’incartasse sul serio, se cioè non si trovasse una soluzione alla crisi, se fallissero tutti i tentativi di formare un esecutivo, davanti all’Italia potrebbe pararsi uno scenario di tipo belga. A Bruxelles la crisi durò 535 giorni, un record, e il bello è che la situazione economica non mostrò gravi segni di peggioramento.
Ma da noi? C’è da farsi venire i brividi, a pensare a un paese per qualche mese senza governo, o meglio, con un governo con poteri ridotti, in carica per l’ordinaria amministrazione, cioè l’esecutivo Monti frutto di un’altra stagione che resta al suo posto “per il disbrigo degli affari correnti”: perché «un governo ci deve essere sempre – spiega Marco Olivetti, docente di diritto costituzionale – in base al principio della continuità degli organi costituzionali». E infatti fino al momento in cui un nuovo governo non presta giuramento, “vive” quello precedente. Monti, appunto.
L’ipotesi di una sua prorogatio in verità è stata fatta balenare dal meno dotto di tutti, Beppe Grillo, e rilanciata da suoi ammiratori, come il giornalista Giuseppe Cruciani ieri a Agorà, «Monti sta lì per gli affari correnti e intanto il parlamento fa le leggi». Un’ipotesi che indubbiamente ha un che di paradossale, se non altro perché, per funzionare, presuppone un accordo tra tutti i partiti (che poi è il contrario di quanto i grillini propugnano). Ieri però è stato lo stesso premier a bollare l’ipotesi come «un ballon d’essai», nella consapevolezza che il Pd a “prorogare” un governo che, secondo la vulgata di queste ore del Nazareno, è fra le principali cause del calo di consensi, non ci pensa proprio. «Il problema di Mario Monti – nota Stefano Ceccanti – è che «ha assunto un ruolo politico, non è più super partes, e questo complica tutto: il governo Monti che si presentasse alle nuove camere non sarebbe più quello della scorsa legislatura. Detto questo, è chiaro che resterebbe in carica per l’ordinaria amministrazione». Per un tempo che adesso nessuno può predefinire, «non c’è nessun limite costituzionale», osserva Olivetti.
Politicamente, secondo alcune voci, al Quirinale si starebbe prendendo in serissima considerazione uno scenario, se non proprio di tipo belga, comunque di “crisi lunga”, fatta di incarichi pieni e forse anche esplorativi, di “giri” di consultazioni del capo dello stato e degli “incaricati”, mentre i partiti scrutano quel che si muove sulle colline di Nervi, novella rocca di Radicofani del Ghino di Tacco di oggi, il gran capo del Movimento 5 stelle.
Mentre sull’altra e più nobile altura, quella del Quirinale, Giorgio Napolitano, proprio sul limitare del suo settennato, cercherà di far quadrare il cerchio di una governabilità che ad oggi pare chimerica. “Rinviare” Monti alle camere per porre i partiti di fronte alle loro responsabilità? Forse al Quirinale si è pensato anche a questa possibilità, peraltro di dubbia “forza” giuridica.
Non ci sono precedenti, tranne forse uno, citato da Olivetti: nel 1948 Luigi Einaudi, appena eletto capo dello stato, “saltò” le consultazioni (che com’è noto non sono costituzionalmente dovute) e il conferimento dell’incarico a Alcide De Gasperi, il quale si limitò a rimpastare il suo governo per cui chiese la fiducia del primo parlamento repubblicano. «Però a me parrebbe una forzatura – obietta Michele Ainis, anch’egli docente di diritto costituzionale –, se non si trova una soluzione il capo dello stato, cioè il successore di Napolitano, dovrebbe scogliere le camere. La possibilità di minacciare lo scioglimento aiuta a trovare una soluzione».
Già, perché Napolitano questa “possibilità” non ce l’ha, non ha il potere di sciogliere il parlamento – siamo nel famoso semestre bianco. Per questo, lo stesso Ainis, che pure non auspica un logoramento della situazione, ritiene che nel caso peggiore «un breve anticipo del settennato di Napolitano consentirebbe al nuovo capo dello stato di usare la minaccia di mandare tutti a casa». Eppure è tutto nelle mani del presidente. Nota Ceccanti che «vale fino in fondo la metafora dei poteri presidenziali come una fisarmonica: essa si chiude quando le forze politiche sono in grado di dare al capo dello stato soluzioni praticabili; si apre invece fino all’estremo, con la formula degli esecutivi del Presidente, quando queste ultime si rivelano, come oggi, palesemente inconsistenti».
Allo stato dei fatti, nei palazzi della politica si registra una situazione di “caos calmo”, determinata, da ultimo, dal fatto che Grillo non si lascia «internizzare» – come si esprime un alto dirigente del Pd – allontanando l’ipotesi dell’intesa Pd-M5S. Non è chiaro se Bersani, se la “sua” ipotesi dovesse saltare, sarebbe disponibile ad assecondare altre soluzioni. Girano nomi di attuali ministri per guidare esecutivi super-tecnici (Passera, Cancellieri, Barca pare fuori), non sembra sulla rampa di lancio quello di Ignazio Visco. Napolitano rientra dalla Germania e trova una situazione al buio. E lo spettro del Belgio allunga la sua ombra sui muri dei palazzi della politica italiana.
Fonte: europaquotidiano.it | Autore: Mario Lavia