Inventarsi un presidente e inventarsi un governo

Inventarsi un presidente e inventarsi un governo

pluigi bersani07/04/2013 – Pochi punti che è bene chiarire subito a titolo preliminare. 

1. Napolitano ha accelerato, non ritardato, il percorso che porta verso uno sbocco costituzionale. Per sua volontà, prontamente recepita dalla presidente della Camera, le votazioni per il nuovo inquilino del Quirinale cominceranno il 18 aprile, undici giorni da oggi. Senza questa decisione le votazioni sarebbero cominciate verso la fine del mese.

2. Il comitato di consulenza nominato dal Presidente ha soltanto l’incarico di preparare un memorandum che delinei alcune soluzioni per i più urgenti problemi costituzionali, istituzionali, economici, sociali. Dovrà consegnare quel documento non oltre il 16 aprile. Se il Presidente ne riterrà congruo il contenuto, lo consegnerà al suo successore il quale potrà metterne a frutto le proposte oppure cestinarle a suo piacimento.

3. Il Ragioniere generale dello Stato e i suoi più stretti collaboratori, da quando nacque il governo Monti nel novembre 2011 fino ad oggi hanno fatto tutto quanto potevano per bloccare o rallentare provvedimenti destinati alla crescita dell’economia, fino al decreto  –  finalmente varato in queste ore  –  sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese fornitrici.

L’obiettivo della Ragioniera generale è stato di mantener ferma la politica di Tremonti del “nulla fare e nulla muovere”. Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha cercato di superare quegli ostacoli ma senza riuscirvi. È dovuto intervenire direttamente Napolitano e la questione, del massimo rilievo per l’economia italiana, è stata finalmente risolta.

4. Matteo Renzi accusa la politica in genere e il segretario del suo partito in particolare, di perdere un tempo prezioso. E di allontanare quello che secondo lui è il solo sbocco possibile ed urgente e cioè lo scioglimento delle Camere appena elette e, per quanto riguarda il Pd, nuove primarie per designare il candidato premier. Non ha detto però, il sindaco di Firenze, con quale legge elettorale si dovrebbe votare. Sempre con il “Porcellum” così com’è? E non ha detto neppure chi sarebbe il responsabile del tempo perduto.

Forse allude a Bersani? Ma dimentica che Bersani non ha alcun potere di perdere o di guadagnar tempo: lo scioglimento delle Camere auspicato al più presto da Renzi (e da Berlusconi) è nelle mani del prossimo Capo dello Stato, per la nomina del quale  –  come indicato al punto 1  –  Napolitano ha accorciato e non rallentato il tempo.

5. La maggior parte degli osservatori stranieri e delle autorità internazionali ritiene che nuove elezioni in Italia sarebbero esiziali per l’economia italiana e di conseguenza per quella europea e americana.
Napolitano ed anche Bersani la pensano allo stesso modo. Renzi invece ritiene che elezioni a breve siano la sola e vera soluzione. Lascio ai lettori di giudicare chi sia nel vero e chi nel falso.

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Per il resto, la situazione politica è nel buio pesto. Tre partiti hanno ottenuto consensi più o meno di un terzo ciascuno. Il residuo 10 per cento è andato ai montiani.

Rispetto alle passate elezioni politiche il partito di Berlusconi ha perso 6 milioni di voti, la Lega si è dimezzata, il Pd ha perso 3 milioni e mezzo. I montiani hanno guadagnato il 2 per cento rispetto all’Udc e al partito di Fini che avevano l’8 e ora sono scomparsi. Il movimento di Grillo ha ottenuto 8 milioni di voti, nel 2008 non esisteva.

Il voto è sempre più mobile “qual piuma al vento. Muta d’accento e di pensier”. Il populismo è aumentato; sommati insieme il Pdl, la Lega e il Movimento 5 Stelle si arriva ad oltre la metà dei voti espressi, raccolti con populismo di vari colori ma di identica tonalità.

Il tasto sul quale l’attuale populismo martella è quello della legalità violata. Il fatto che Berlusconi usi anche lui quel tema è sorprendente.

Grillo lo si può capire; non si capisce però il motivo per cui non cerca il modo corretto di favorire il ripristino della legalità. Da solo, con il 25 per cento dei consensi, non ce la può fare, ma vuole impedire qualunque collaborazione con le altre forze politiche. Questa posizione priva di logica viene però imposta agli eletti, pena la loro espulsione dal movimento.

Chi predica ad ogni piè sospinto moralità e legalità dovrebbe stare molto attento ai significati di queste affermazioni e di queste icone e dovrebbe ripassarsi con spirito critico alcuni precedenti storici.

Robespierre e Saint-Just predicando una astratta e assoluta moralità e interpretando a loro modo la legalità distrussero la democrazia costituzionale dell’Ottantanove trasformandola in una dittatura basata sui tribunali rivoluzionari, sul terrore e sulla ghigliottina. Stalin fece altrettanto su scala enormemente più vasta, accusando i suoi avversari di ruberia, complotto, tradimento del socialismo. Hitler usò altri argomenti: secondo lui la legalità e la moralità la violavano gli ebrei, gli zingari e altre pericolose minoranze da sterminare.

Ovviamente questi precedenti storici hanno tutt’altra dimensione rispetto a quanto accade oggi in Italia, ma la dinamica è quella di estirpare il riformismo democratico e procedere verso sistemi con forti connotazioni dittatoriali. Berlusconi da un lato, Grillo e Casaleggio dall’altro, sono proprietari in senso tecnico oltre che pratico dei rispettivi partiti e dettano legge ai loro aderenti secondo la formula “con me o contro di me”.
Grillo vuole l’abolizione dell’articolo della nostra Costituzione che garantisce la libertà degli eletti dal popolo “senza vincolo di mandato”.

Berlusconi non ha bisogno di questo perché il partito è suo e senza di lui non vivrebbe. La libertà di scelta dei singoli parlamentari  –  semmai  –  gli è servita per comprarne alcuni a suon di milioni.

Comunque: le quattro forze politiche che rappresentano la totalità dell’attuale Parlamento non riescono a trovare una formula che dia vita ad una solida maggioranza. Ognuna gioca da sola, magari corteggia le altre (salvo Grillo che si ritiene autosufficiente e condanna i suoi eletti allo zitellaggio obbligatorio) a patto che si pieghi ai suoi disegni.

Questo è lo stallo, finora insuperabile. La gente, i cittadini, sono furibondi e disperati; delle forze politiche e delle istituzioni se ne infischiano, le disprezzano e le ritengono irrilevanti, ma reclamano provvedimenti di salvataggio economico e sociale che soltanto un governo sostenuto da una solida maggioranza potrebbe decidere, fermo restando che l’Italia non è un’isola migrabonda ma fa parte dell’Europa nel quadro d’una economia globale dove le merci, i capitali, le persone si muovono secondo le convenienze.
Questa realtà gran parte delle persone la dimentica. I furbi ci speculano sopra e si arricchiscono; i gonzi la subiscono protestando e soffrendo. Molti non votano alle elezioni lasciando mano libera ai furbi; gli altri votano in modo tale da aver determinato lo stallo suddetto.

Capisco che il quadro non è confortante, ma è colpa di ciascuno di noi e su quella colpa occorrerebbe riflettere con spirito critico.

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Il futuro Presidente della Repubblica dovrà anzitutto fare le sue consultazioni e poi nominare un governo che abbia solida maggioranza. Un governo di scopo, con pochi obiettivi istituzionali ed economici da realizzare.

Walter Veltroni ha ricordato in alcune interviste recenti come esempio da imitare il governo Ciampi nominato da Scalfaro. La nomina  –  va ricordato  –  venne proposta da Giuliano Amato che in quel momento era proprio lui alla guida del governo ma riteneva opportuno cederla a persona più adeguata alle circostanze che anche allora erano di stallo e di gravi pericoli economici.

Scalfaro accettò il consiglio ma volle che fosse lo stesso Amato a proporlo a Ciampi in un incontro a tre, così avvenne e così quel governo che giustamente viene indicato come esempio, fu installato.

Purtroppo una persona come Ciampi oggi non c’è.

Bisognerebbe inventarla, ma non è affatto facile. Una cosa però mi sembra certa: non c’è spazio per un governo guidato da un dirigente di partito. Da questo punto di vista non condivido la tenacia con la quale Bersani ripropone la sua candidatura (e ancor meno quella di Renzi a sostituirlo nella stessa impresa).

Bersani è stato molto coraggioso nel tentare un governo di cambiamento ed ha spiazzato molti portando alla guida delle Camere personaggi fuori dai partiti e provenienti da altre esperienze civili. Ma ora il suo tentativo di ottenere una seconda investitura non è a mio avviso realizzabile e sarebbe destinato ad un fallimento.

Quand’anche riuscisse ad ottenere la fiducia con l’aiuto di qualche voto fluttuante, non durerebbe che poche settimane e comunque non sarebbe in grado di recuperare la credibilità necessaria per rassicurare l’Europa e i mercati.

Il futuro Capo dello Stato dovrà dunque inventarsi un governo di tipo nuovo, che rappresenti la società civile ma i cui componenti e chi lo guida abbiano non solo competenze e moralità ma anche fiuto politico.

Non sarà una scelta facile e il nuovo Presidente dovrà seguire quel governo da lui inventato passo dopo passo, accreditarlo in patria e all’estero, vigilare che gli scopi assegnatigli siano raggiunti presto e bene a cominciare dalla riforma del Senato e soprattutto da una nuova legge elettorale (forse il “Mattarellum” che si può ripristinare con un solo articolo che dichiari abolita la legge attuale e faccia rivivere quella precedente?).

Purtroppo per noi, oltre a non avere un Ciampi a disposizione, non abbiamo neppure un Napolitano e questo è ora il vuoto e l’incognita più disperante. La ricerca comincerà tra undici giorni e speriamo sia proficua, sebbene i nomi attualmente in circolazione siano in gran parte inadatti e di pura fantasia per quanto riguarda quel tipo di responsabilità. L’identikit ideale per il Quirinale oscilla tra le figure di Einaudi, Pertini, Ciampi, Napolitano. Io un nome in testa ce l’avrei ma non ho alcun titolo per proporlo e quindi non lo dico.

Fonte: corriere.it | Autore: Eugenio Scalfari

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