17/04/2013 – Perché esistono? Come sono scelti? Possono pesare in qualche modo nell’elezione del Presidente?
Nella storia repubblicana avevano sempre fatto parlare poco di sé i delegati regionali che integrano il Parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica. In questo convulso 2013 si sono ritagliati anche loro un ruolo da piccoli protagonisti nelle cronache politiche. I grossi “casi” sono stati almeno due: la proposta di eleggere Matteo Renzi in Toscana, poi abortita, e l’esclusione, grazie a un pateracchio Pd-Pdl, del Movimento 5 Stelle in Sicilia, nonostante i grillini siano primo partito nell’Isola. La lista completa (clicca qui) dei 58 delegati regionali, vede il netto predominio degli uomini (53) sulle donne (appena 5), e un piccolo vantaggio del Pd sul Pdl. Ma cosa sono questi delegati regionali? Ce lo spiega Lino Panzeri, ricercatore di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università degli Studi dell’Insubria.
Dottor Panzeri, cosa sono i “delegati regionali”? Perché non se ne sente mai parlare?
Se ne sente parlare poco perché vengono eletti solo una volta ogni 7 anni, quando c’è da eleggere il Presidente della Repubblica. È questo l’unico caso in cui il Parlamento in seduta comune, che già si riunisce in pochissime occasioni (per l’elezione dei cinque membri della Corte costituzionale di nomina parlamentare; per l’elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura; ogni 9 anni per procedere alla compilazione di un elenco di 45 cittadini fra i quali estrarre a sorte i 16 giudici aggregati ai fini del giudizio d’accusa contro il presidente della Repubblica; per assistere al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione da parte del presidente della Repubblica e per la messa in stato di accusa del presidente della Repubblica nei casi di alto tradimento e attentato alla Costituzione, ndr) viene integrato da questi 58 delegati, come stabilito dal secondo comma dell’articolo 83 della Costituzione. E poi se ne sente di solito poco parlare perché non hanno mai influito, essendo nel colleggio numericamente molto pochi (58) a confronto dei 945 parlamentari (più i senatori a vita), e molto meno espressione del territorio di quanto li avevano immaginati i Padri costituenti.
In che senso?
Allora erano stati pensati per permettere anche alle autonomie regionali di partecipare all’elezione del presidente della Repubblica, che – come sappiamo – deve essere una figura di unità e quindi avere la legittimazione più larga possibile, anche oltre quella delle due Camere. In realtà, questi delegati hanno sempre aderito alla logica di votare secondo il partito di appartenenza, senza dare un contributo realmente regionale; territoriale…
Ma cosa prevede nello specifico la Costituzione?
La Carta dice soltanto che «all’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze» e che «la Valle d’Aosta ha un solo delegato». Per il resto ha lasciato tutto alla giurisprudenza e alle consuetudini…
Ha lasciato liberi anche di regolamentare l’elezione dei tre?
Sì. Pensate – curiosità storica – che l’espressione «sia assicurata la rappresentanza delle minoranze» fu modificata dal comitato di redazione della Costituente. In precedenza si parlava di «minoranza» al singolare. Gli interrogativi su cosa significasse di preciso «sia assicurata la rappresentanza delle minoranze» ci furono da subito e crebbero dopo l’istituzione delle regioni a statuto ordinario. In generale, si concordò sul fatto che, anche in presenza di due o più minoranze, alle stesse si sarebbe dovuta riservare l’elezione di un solo delegato, rendendosi opportuna la convergenza dei voti di tutti i gruppi estranei alla giunta su un’unica candidatura…
Ma chi è che detta le regole per l’elezione?
Su chi fosse legittimato a disciplinare questo aspetto maturarono diverse tesi. Qualcuno sosteneva che la fonte dovesse essere una legge dello Stato, qualcuno una legge regionale (lo statuto), qualcun altro riteneva che tale disciplina dovesse essere riservata ai regolamenti consiliari. La riforma costituzionale del 1999 poteva essere l’occasione per mettere ordine. Invece anche questa stagione di nuovi statuti ha visto la sostanziale indifferenza dei legislatori regionali rispetto alla materia. Quindi adesso la cosa è regolata da pochi statuti e per il resto dai diversi regolamenti consiliari.
E chi garantisce il reale rispetto della minoranza?
Il ruolo di garante imparziale spetta al Presidente del Consiglio regionale, ma in modo informale. Finora, anche quando ha dovuto procedere alla «rettifica» dei risultati dell’elezione consiliare secondo una lettura costituzionalmente corretta (come, ad esempio, nel 2006, in Campania, quando il Presidente del Consiglio, posto che nessuno dei tre consiglieri più votati apparteneva alle minoranze, ha proclamato eletto nella terna il quinto candidato più votato, in quanto il primo della lista appartenente ad un gruppo di opposizione) lo ha fatto ma in difetto di regole sul procedimento da seguire.
Ma gli eletti devono essere membri del consiglio regionale? Facciamo chiarezza una volta per tutte: Renzi, che è sindaco, poteva davvero essere eletto?
Anche sul fatto se si debba essere per forza consiglieri regionali, la giurisprudenza ha molto discusso. Da più parti fu affermato che il silenzio della Costituzione, ammettendo implicitamente la scelta dei delegati anche al di fuori dell’assemblea, avrebbe reso illegittime previsioni negli statuti che limitassero la possibilità di scelta ai soli consiglieri. Altri fecero notare quanto potesse essere un elemento di arricchimento del contributo regionale all’elezione del Presidente poter scegliere elementi della società civile e non solo membri dei consigli, per forza di cose dipendenti dai partiti politici. Alla fine ha prevalso la considerazione, però, che proprio nel rispetto del dovuto rispetto alla «rappresentanza delle minoranze», scegliere tra cittadini anche eminenti ma estranei al consiglio avrebbe reso difficile poter giudicare a quale partito appartenessero, e dunque se fossero espressione della maggioranza o delle minoranze. È però lampante che in un caso come quello di Renzi, esponente del Pd, il problema dell’identificazione non si sarebbe posto. E quindi la sua elezione era assolutamente possibile.
Però finora si è sempre pescato tra i consiglieri…
Di fatto sì. La prassi più diffusa è quella dell’elezione del presidente della giunta e del presidente del consiglio regionale, per quanto riguarda la maggioranza, e di un consigliere di minoranza. Considerate che la designazione dei delegati è stata costantemente condizionata dai partiti politici nazionali, abituati ad accordi fra loro circa l’appartenenza politica dei singoli rappresentanti regionali, in base alla diversa consistenza delle forze politiche parlamentari. Questa prassi, col tempo, ha minato lo stesso significato «simbolico» riconosciuto alla presenza delle delegazioni territoriali, dando fondamento alla tesi di chi, sin dalle origini, con disincantato realismo, affermava l’irrilevanza pratica dell’integrazione del Parlamento in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica. E non soltanto per l’esiguità numerica dei componenti eletti dai Consigli regionali rispetto al collegio elettorale nel suo complesso, ma anche per la pervasività dell’azione svolta dai partiti politici sul funzionamento degli strumenti di partecipazione democratica.
Autore: Paolo Stefanini | Fonte: linkiesta.it