C’è un film cileno che gli italiani dovrebbero vedere, e che sarebbe di grande interesse anche per i responsabili della comunicazione politica del centrosinistra. Si tratta di No – I giorni dell’arcobaleno di Pablo Larrain (quello di Tony Manero e Post Mortem) e ricostruisce la campagna referendaria che, nel 1988, servì a decidere se far restare Augusto Pinochet al potere per altri otto anni, dopo 15 di governo ininterrotto.
Sotto le pressioni della comunità internazionale il dittatore aveva acconsentito al referendum certo di essere riconfermato, e aveva accettato che le televisioni nazionali trasmettessero ogni giorno a reti unificate 15 muniti di spot a favore del sì (per la riconferma di Pinochet) ma anche del no. Il film di Larrain racconta come la campagna per il no fosse stata affidata ad un giovane pubblicitario, René Saavedra (la star messicana Gael Garcia Bernal), che decise un approccio del tutto inaspettato, dal punto dei vista dello zoccolo duro dei membri storici dell’opposizione.
Saavedra scelse di usare le armi della pubblicità dando per assunto di base che tutta la società cilena, tanto di destra quanto di sinistra, avesse assorbito la cultura neoliberale imposta da Pinochet (e suggerita dagli Stati Uniti) di cui la pubblicità televisiva era specchio fedele. Il giovane pubblicitario sapeva bene che, come scrive Carlo Freccero nel suo Televisione, il piccolo schermo «non è più “naturaliter di destra” perché il conservatorismo neoliberista è diventato l’unica realtà riconosciuta non solo da destra, ma anche da sinistra». E decise di ritorcere quella realtà televisiva contro il dittatore che l’aveva propaga(nda)ta per 15 anni.
Naturalmente quando il team del no, composto di dissidenti in passato imprigionati e torturati per le loro posizioni politiche, vede il primo spot concepito da Saavedra il commento orripilato è: «Sembra una pubblicità della Coca Cola», e molti membri del gruppo rifiutano sdegnosamente l’approccio del giovane pubblicitario trovandolo irrispettoso della sofferenza patita da chiunque fosse all’opposizione in quegli anni di dittatura.
Ma è solo la forma degli spot di Saavedra a cambiare, non il contenuto dei messaggi, che parlano anche di tortura, disparità economiche, diritti umani. Ed è René ad avere ragione nel capire che il nemico, qualche volta, si combatte con le sue stesse armi. Attenzione: non facendo un lavoro di rincorsa, come quello effettuato dalle reti Rai rispetto alle reti Mediaset – per portare il parallelo sul terreno di casa nostra – ma di lancio in avanti.
La campagna per il no di Saavedra, giocata sui simboli del neoliberismo e della società del marketing, racconta un futuro possibile e visionario che va oltre il presente trombonesco e trionfale illustrato dalla campagna del sì. Sia Pinochet che Saavedra capiscono infatti che i cileni hanno il terrore di un ritorno al passato, a un socialismo che faccia sentire tutti almeno temporaneamente più poveri. Dunque il pubblicitario non commette l’errore di offrire agli elettori quella prospettiva, bensì trasmette loro il miraggio di una società più «allegra» in cui tutti troveranno la loro dimensione. Il no è un prodotto che ti invita ad essere giovane e coraggioso>>, sintetizza, con il pragmatismo della sua generazione.
Il bello del film è che gradualmente anche Saavedra acquisirà quella consapevolezza politica e sociale che il suo upbringing gli aveva azzerato. Come dire che la contaminazione del neoliberismo, una volta ritorta contro chi l’ha manipolata per i propri interessi, innesca un processo di decontaminazione, si fa anticorpo. Saavedra trova il vaccino contro il populismo mediatico di Pinochet usando i suoi codici comunicativi per sconfiggerlo alle elezioni: ed è questa vittoria profondamente democratica a dare un senso alla sua battaglia.
«Si può dire che la campagna per il no ha superato la destra sia da sinistra che da destra», ha detto Garcia Bernal. In questo superare da destra (a livello comunicativo) rimanendo di sinistra c’è una preziosa lezione di comunicazione politica.
Fonte: Europaquotidiano.it