30/05/2013 – A volerlo interpretare anche nel suo tratto evocativo, il voto di domenica e lunedì contiene molte indicazioni sul possibile destino del non-partito di Grillo. La principale novità delle politiche di febbraio già è diventata archeologia: il marketing politico consuma in fretta i suoi attori. I campioni dell’antipolitica sono transitati, in un batter d’occhio, dalla condizione di agguerriti cittadini autorizzati a sorvegliare e punire il vecchio ordine a quella di componenti anche loro di un ammuffito ceto politico da maltrattare.
Una nemesi in fondo prevedibile quella di chi ha ingrossato in fretta le fila della ribellione con il motto sbrigativo tutti a casa e deve ora rassegnarsi a rientrare nei ranghi di una classe politica contro cui continuano a cadere gli spari dei nemici agguerriti. Protagonisti di un’elezione eccezionale, che ha travolto ogni argine e infranto aspettative, i cinque stelle appaiono più come gli attori della destrutturazione dell’ordine antico che non gli artefici di un riallineamento stabile del sistema politico.
In questo appare visibile una profonda differenza tra l’eccezione prodotta da Berlusconi nel 1994 (da zero al 21 per cento dei voti, e ingresso diretto a Palazzo Chigi) e l’eccezione creata da Grillo nel 2013 (da niente al 25 per cento dei consensi, e però rifiuto di partecipare ai giochi politici che contano in un desiderio impolitico di auto congelamento di oltre 8 milioni e mezzo di voti). L’antipolitica o si fa sistema, imponendo un altro ordine e istituzionalizzando in qualche modo la sua irregolarità, o si dissolve per carenza di funzione.
E la prospettiva del dileguarsi in fretta non sembra troppa remota per la creatura di Grillo. Dietro l’antipolitica del 1994, oltre alla narrazione e alla favola seducente del Cavaliere, c’era un blocco sociale. La destra era la saldatura potente tra l’immaginario (il sogno, la fuga nella comunicazione) e il materiale (blocco sociale della micro impresa e del lavoro autonomo). In certa misura, Grillo alle elezioni ha saldato i due segmenti di popolo che per vent’anni si sono divisi (quello secolarizzato, istruito e cittadino che si orientava a sinistra e quello poco istruito, periferico e dedito alla produzione materiale e al commercio che si rivolgeva alla destra). Ma la sua invenzione non sembra poggiare su qualcosa di durevole, su una coalizione sociale non effimera. La micro impresa di Casaleggio non ha la stessa potenza della macro azienda di Berlusconi e quindi non possiede gli strumenti coercitivi e negoziali per esercitare il dominio politico e per conquistare l’egemonia nel campo del simbolico. Anche sul controllo del territorio, la presenza del M5S non raggiunge in alcun modo la capacità di vigilanza della Lega dei tempi migliori o del blocco clientelare particolaristico sempre attivo nel meridione. Grillo è stato un fenomeno della rappresentazione, difficile che possegga anche gli arnesi per tentare il mestiere della rappresentanza. Il riflusso del suo movimento da soggetto della rivolta a partito flash è probabile. Sembra esplosa la bolla mediatica che a febbraio l’aveva lanciato come un’onda anomala inventata per bloccare la sinistra.
In mancanza di una operazione complessa di radicamento, articolazione organizzativa, elaborazione culturale anche quella di Grillo potrebbe ben presto tramutarsi in una delle tante apparizioni che si trascinano nel tempo senza lasciare il segno perché prive di una base sociale, di interessi collettivi di riferimento.
In nessuna delle città capoluogo il non-partito di Grillo accede al ballottaggio (in molte di esse, appena qualche mese fa, era il primo partito). Neppure a Siena sfonda. Proprio nella città toscana, con lo scandalo della banca, rilanciato a poche settimane dal voto dal Fatto quotidiano, furono affossate le velleità della sinistra.
Ha un indubbio valore simbolico il fatto che il candidato del M5S abbia ottenuto 1648 voti, ne aveva raccolti 1154 nelle precedenti consultazioni amministrative quando era una piccola esperienza. Il non-partito nella città del Palio è al palo. Lo tsunami ha, con un colpo retroattivo, travolto anche i suoi primi beneficiari.
Se la crisi sociale e il declino economico non troveranno risposte efficaci, il Pd non potrà certo cantare vittoria. È vano aggrapparsi alle misure simboliche contro i costi della politica nell’illusione di aver afferrato e sterilizzato la causa vera della rivolta. Nella crisi, altre forme di antipolitica entreranno di sicuro in gioco. E a prendere il posto dell’appassito movimento di Grillo potrà comparire qualsiasi altro soggetto irregolare. Se non si cura la crisi sociale l’alienazione politica continuerà, e toccherà persino rimpiangere i tempi di una volta quando la ribellione era guidata da un pacifico comico genovese.
Autore: Michele Prospero | Fonte: unita.