31/05/2013 – Le ultime elezioni amministrative meritano una riflessione sia nostra come cittadini, ma soprattutto da parte dei politici, cosa che, a mio parere, non sta avvenendo.
Il dato più saliente è quello dell’astensionismo che cresce ad ogni elezione: una fetta sempre più consistente di cittadini non trova l’offerta politica che desidera e rinuncia a cercare il cambiamento attraverso il voto. Questo fatto è allarmante perché delegittima sia gli eletti che il meccanismo democratico stesso, rendendo anche le riforme sempre meno probabili: riformare diventa praticamente impossibile quando si ha l’appoggio di al più un quarto degli aventi diritto al voto.
Allo stesso tempo, l’aumento del non voto dovrebbe essere un input ulteriore per chi si pone l’obiettivo di cambiare la politica sia nei metodi che nei contenuti. Capire perché il partito degli astenuti sia divenuto il partito di maggioranza relativa e cosa chiedano i concittadini che hanno rinunciato a votare dev’essere un impegno di tutti nei mesi a venire, ma è davvero così?
Le persone favorevoli al cambiamento non stanno, almeno nella loro maggior parte, fra coloro i quali che pare più per interessi personali che non per il bene del paese insistono a sostenere con il loro voto i due blocchi responsabili del declino italiano. Questo elemento importante (che un italiano su 3 non vota) sembra assente da molte riflessioni politiche, concentrate piuttosto sul “recuperare” il voto di questo o quell’altro raggruppamento storico.
Credo sia invece bene riflettere su due fatti: il primo passo verso il cambiamento politico consiste nel superare l’appartenenza ideologica a questo o quel blocco – “destra” vs “sinistra”; il secondo nel comprendere che se le politiche offerte dai due blocchi tradizionali (e dal M5S più recentemente) non soddisfano, occorre cercare altrove invece di rinunciare. Sta a chi vuole fare politica intercettare questi milioni di italiani costruendo un “altrove” che sia per essi convincente.
Il secondo dato rilevante è l’insuccesso delle liste locali del M5S, un risultato in forte contrasto con il successo delle ultime elezioni politiche.
Questo segnala, anzitutto, come il voto di “protesta” che ha caratterizzato sino ad ora i consensi al M5S sia poco stabile e suscettibile di andarsene tanto rapidamente quanto sia arrivato.
Gli elettori confermano di volere dei risultati concreti, non solo e non tanto da proclami che inneggiano più alla distruzione che a un reale cambiamento, che soddisfano per qualche tempo ma poi lasciano la situazione immutata. Nessuna delle forze politiche sembra avere l’obiettivo principale di intercettare l’elettore che non c’è per convincerlo di essere in grado di proporre delle soluzioni fattibili per soddisfare l’esigenza che ha motivato l’iniziale protesta.
Il risultato delle comunali, che oltre al crollo del M5S indica pure una sostanziale sconfitta del blocco PdL-Lega, mette in evidenza che il radicamento locale dei partiti politici è, alla lunga, rilevante sia per la loro sopravvivenza organizzativa che per il loro successo elettorale. Non basta avere figure carismatiche o elettoralmente attraenti a livello nazionale e nemmeno bastano gli exploit mediatici fondati su affermazioni eclatanti e populiste.
Per governare il paese occorre avere sia proposte convincenti che rispondano alla domanda di riforme di quegli italiani che hanno acquisito la consapevolezza della necessità di cambiare rotta, sia lavorare capillarmente per radicarsi a livello locale, attraendo persone capaci e rispettate, e non elette perché protetti dai loro capigruppo o addirittura perché hanno una folta schiera di parenti e conoscenti che portano voti.
“Vogliamo cambiare i governi, migliorare il paese, ma non vogliamo cambiare noi. I politici vogliono cambiare il paese senza cambiare loro. Speriamo di riuscire a far cambiare idea ai cambiamenti” (Alexandre Cuissardes)
Autore: Alexsandra Panama | Visita il blog di Alexsandra!