12/06/2013 – “Chiedo scusa a nome di Stefano per il danno che la sua permanenza al Pertini e la sua morte hanno procurato al buon nome del dott. De Marchis e della dott.ssa Di Carlo. Chiedo scusa per il disturbo arrecato. In fondo era un tossicodipendente, e non dimentichiamo che era lì perché aveva commesso un reato. Cosa valeva la sua vita rispetto alla carriera e l’onorabilità di persone che salvano la vita alla gente? E mi rendo conto sempre di più che la vita di mio fratello non era considerata tra quelle da salvare. Stefano non ha più voce per dire che lavorava, che andava in palestra. Che le sue vene non erano massacrate dalla droga, della quale non c’era traccia dopo la sua morte… E che immaginava un futuro come tutti noi. Lui non c’è più. Quindi tanto vale che i loro avvocati lo massacrino pure da morto. Se si tratta di salvaguardare coloro che quasi sempre salvano la vita alla gente. Sempre che ‘la gente’ non sia un detenuto in attesa di giudizio tossicodipendente. E cosa importa il dolore di un padre e di una madre, che per quella vita avrebbero dato l’anima, pur senza mai farne un santo, nel vederlo calpestato e spogliato di quello che era? Diciamo che non è stato curato perché come tutti i tossicodipendenti non era collaborativo. E dimentichiamo il giuramento d’Ippocrate. Tanto era un tossicodipendente. Mettiamoci una pietra sopra e salviamo il salvabile. Tanto se l’è cercata. E diffondiamo la sua foto nei centri di recupero. Così tutti sapranno che di droga si muore in quel modo, come ha avuto la brillante idea di affermare uno degli avvocati”
Questo è ciò che ha scritto Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, dopo la sentenza di assoluzione dei poliziotti processati per la morte del fratello, e per la blanda condanna solo ai medici dell’ospedale di Roma dove era stato ricoverato, nemmeno agli infermieri, tra i quali c’erano anche due donne, che avrebbero dovuto prendersi almeno cura di lui, come il giuramento di Ippocrate richiede.
Io non posso che inorridire davanti a tanta ingiustizia, essere solidale con la famiglia e comprendere che la sorella non perdoni chi ha infierito in modo barbaro e crudele sul fratello, quando era vivo ma anche da morto con una sentenza così palesemente iniqua.
La sentenza del processo Cucchi e il comportamento dei ” custodi dell’ordine” e di chi dovrebbe accudire malati e deboli mi fa pensare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il nostro non è un Paese del terzo mondo, anzi forse nemmeno del quarto.
Chiediamo scusa ma di certo non perdoniamo.
Autore: Alexsandra Claudia