20/06/2013 – In Italia siamo fermi ai clic con cui i grillini espellono qualcuno. Il che non fa una buona pubblicità alla e-democracy. Che invece offre grandi possibilità per diventare cittadini intelligenti e partecipativi. Parla lo studioso di rete Howard Rheingold.
Howard Rheingold è in libreria con un testo intitolato «Perché la Rete ci rende intelligenti» (Raffaello Cortina). Ma il saggista, tra i più autorevoli studiosi delle conseguenze individuali e sociali dell’incontro tra uomo e nuovi media, non crede la Rete ci renda intelligenti. «Evito di usare quel linguaggio deterministico», dice all’Espresso via Skype, contestando la traduzione italiana del titolo del volume, in lingua originale ‘Net smart’. Che, spiega, intende racchiudere un messaggio diverso: come diventare più consapevoli, più saggi nell’utilizzo di Internet. E in effetti, nel libro non c’è traccia di utopismi, banalizzazioni e improprie attribuzioni di soggettività al web. Si trova invece il distillato di decenni di studi e soprattutto esperienza diretta nel tentativo di alfabetizzare le masse rispetto ai media digitali. Per migliorare se stessi, argomenta, e la convivenza civile.
Rheingold, partiamo dalla domanda più difficile: possibile l’alfabetizzazione digitale che auspica si traduca in nuove forme di democrazia?
Credo si debbano tenere a mente due cose. La prima è che nuove forme sociali, anche di governance, si sono co-evolute con nuove forme di comunicazione. La comparsa della scrittura ha coinciso con quella dei primi imperi; la stampa, nelle teorie della sfera pubblica, ha molto a che fare con la possibilità dell’autogoverno delle popolazioni, di diventare cittadini piuttosto che ‘soggetti’. E non esistono democrazie di analfabeti.
La seconda cosa da tenere a mente?
Che si possono menzionare dittature che hanno preso buone decisioni, e democrazie che ne hanno prese di cattive. Ma la domanda è: complessivamente, gruppi numerosi di cittadini prendono decisioni migliori di gruppi ristretti di esperti? La ricerca scientifica su questo è agli inizi. C’è il lavoro di Helene Landesmore, per esempio. Lei fa un’affermazione forte: la conoscenza di un gruppo numeroso e diversificato è generalmente migliore.
Lo menziona nel libro: il risultato in termini di intelligenza collettiva sarebbe indipendente dal quoziente intellettivo dei singoli membri che compongono il gruppo.
Un modo per spiegarlo al pubblico è che nessun esperto sa tutto: ci sono questioni complesse in cui alcuni cittadini ne sanno più di certi esperti. E poi l’ho scritto in ‘Smart mobs’ dodici anni fa: la combinazione di telefonia mobile, computer e Internet sta rendendo molte più persone capaci di organizzarsi con altre, a una velocità e in luoghi dove prima non era possibile. Si abbassano le barriere per l’azione collettiva. E lo abbiamo visto in Spagna, in Italia, durante le primavere arabe, a Istanbul.
Ma se i risultati in termini di azione collettiva non mutano secondo il QI dei suoi componenti, a che serve rendere i cittadini digitali più intelligenti?
Io farei una distinzione tra diventare alfabetizzati su come comunicare in maniera efficace in un gruppo online, e la propria abilità di risolvere problemi così come misurata dal quoziente intellettivo. Non credo siano la stessa cosa. Credo ci siano persone molto intelligenti, così come misurate nei test di intelligenza, ma che possono non produrre buoni risultati in gruppo online – se non sanno cooperare e comunicare all’interno di quei gruppi online. Persone con un QI non elevato, invece, possono sapere come dare il loro contributo. Il vero punto di forza sta nel creare gruppi diversificati, in cui ci sia chi possa dire ‘non ho una laurea, ma ho lavorato per trent’anni in questo settore, vissuto in questo e questo Paese’, e contribuire a questo modo alle decisioni del gruppo con conoscenze che persone particolarmente intelligenti non possiedono.
Gruppi intelligenti, azione collettiva più semplice: significa che avremo democrazie più forti?
Credo si debba distinguere tra essere in grado di organizzare l’azione collettiva per una manifestazione di protesta, e costruire un movimento e le istituzioni della democrazia. Per esempio in Egitto i nuovi media hanno avuto un ruolo, in una rivoluzione che ha avuto molte cause non tecnologiche. Ora la questione è: i cittadini saranno in grado di mettere insieme istituzioni democratiche?
Autore: Fabio Chiusi | Fonte: espresso.repubblica.it