05/07/2013 – Questa Europa, così com’è, non può piacere neppure a una europeista convinta come me.
Da sessanta anni, l’Europa consente ai suoi abitanti di vivere in relativa pace, libertà e prosperità. Nessuno dei suoi Stati membri, da solo, avrebbe i mezzi sufficienti per offrire ai propri cittadini lo stesso livello di benessere, sicurezza e stabilità. Ciò non toglie che, oggi, i limiti dell’Europa siano visibili a tutti.
Questa Europa, così com’è, non può piacere neppure a una europeista convinta come me. Se l’Europa avesse ascoltato con più attenzione i moniti e i suggerimenti che negli ultimi anni le sono stati lanciati da più parti, non ci ritroveremmo nel contesto attuale, nel quale tendenze all’antieuropeismo e forme di populismo minacciano il senso profondo dell’integrazione e della comune convivenza. Eppure, nel mondo continua a esistere una pressante domanda di “più Europa”. Assistiamo ogni giorno a prove concrete di come l’Unione riesca ancora a essere un potente catalizzatore, che anzitutto attrae, nella prospettiva di future integrazioni, il proprio vicinato orientale e meridionale.
Ma il fascino dell’Europa sui nostri cittadini è un’altra storia e, gradualmente ma inesorabilmente, il sogno dei padri fondatori sembra svanire. L’Unione europea troppo spesso appare eccessivamente introvertita rispetto a un mondo che galoppa ed è sempre più associata a scelte obbligate di austerità che, se non accompagnate ad adeguate politiche economiche volte a rilanciare la crescita, portano a recessione, disoccupazione e forti tensioni sociali.
Sia chiaro: le azioni a tutela delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto non sono solo mosse da principi etici e civili, ma anche dall’esigenza di garantire la sicurezza necessaria allo sviluppo, agli scambi economici e agli investimenti.
Abbiamo da tempo compreso che dove ci sono violazioni dei diritti fondamentali, aumentano anche i fattori di rischio per le imprese.
Ma per respingere l’accusa di tenere doppi standard è importante assicurare coerenza tra la dimensione esterna e quella interna. Un paese civile si giudica in base alle sue leggi, ma anche dalla sua capacità di rispettarle e farle rispettare. Noi italiani non possiamo quindi trascurare l’enorme mole di contenziosi contro l’Italia pendenti di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo e il fatto che siamo tra i paesi con il più alto numero di condanne. La gran parte dei procedimenti è collegata all’eccessiva durata dei processi e al sovraffollamento delle carceri. Dobbiamo dunque contrastare queste violazioni “seriali” con determinazione: è la nostra credibilità internazionale a essere in gioco.
Come possiamo predicare il rispetto dei valori universali all’estero, se siamo tra i paesi più condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo? Del resto, se stentiamo ad attrarre investimenti stranieri, è anche perché non siamo finora stati capaci di fare ordine a casa nostra. Quanti in – vestitori stranieri hanno deciso di non venire in Italia a causa della lunghezza dei processi civili? Quanti sono dissuasi dall’incertezza del diritto e dalla scarsa trasparenza? È quindi nel nostro vitale interesse reagire a tutte queste tendenze. E per difendere la costruzione europea, e i suoi valori fondamentali, abbiamo bisogno di riscoprire il senso originario del progetto europeo, aggiornandolo alle sfide poste da questo inizio di ventunesimo secolo. Nessuna soluzione, tuttavia, sarà credibile senza una dimensione politica e pienamente inclusiva dell’intera architettura europea. Abbiamo dunque bisogno di una soluzione federale.
Il sostegno alla prospettiva degli Stati Uniti d’Europa non è per me dettato da motivi ideologici, ma da un’attenta valutazione dei costi e dei benefici. Non conosco un sistema alternativo al federalismo in grado di consentire a 500 milioni di persone – di diverse nazioni, culture, religioni e con una moltitudine di lingue – di vivere insieme in libertà mantenendo la propria diversità. Lo penso soprattutto dal punto di vista dell’efficacia delle istituzioni nel dare risposte alla domanda di benessere e sicurezza dei cittadini e della necessità di fornire il senso di appartenenza comune all’interno di un modello “possibile” che continui a essere inclusivo, pena la disgregazione. Se qualcuno invece conosce un sistema migliore, lo dica.
Un paio di anni fa ho proposto una “Federazione leggera”, un modello istituzionale che, non assorbendo più del 5% del Pil europeo, potesse finanziare le funzioni essenziali di governo come la politica estera e di sicurezza, la ricerca scientifica, le grandi reti infrastrutturali. Purtroppo la maggior parte dei governi europei è riluttante nei confronti di questo progetto, e le conseguenze negative di questa indecisione sono sotto gli occhi di tutti: le iniziative in sede europea rimangono frammentate e inefficaci, si sprecano risorse, e si rischia la crescente irrilevanza dell’Europa.
Nel 2014 ricorrerà il centenario dallo scoppio della Grande guerra. Non dobbiamo dimenticare cosa accadde ai paesi europei quando il nazionalismo e la demagogia prevalsero. Se l’Europa non risolve i problemi legati al binomio recessione/populismo, rischieremo di perdere tutto quello che abbiamo conquistato. Le elezioni parlamentari europee del 2014 costituiscono in questo senso un test cruciale: se vogliamo evitare che partiti populisti guadagnino ampi consensi, dobbiamo mettere l’Europa federale al centro della campagna elettorale.
Se faremo nostra una nuova visione che coinvolga pienamente i nostri cittadini e i nostri governi, potremo iniziare una nuova fase di rilancio e di crescita, favorendo la legittimità democratica della costruzione europea e il ruolo dell’Unione come attore globale. E per l’Italia, che avrà la presidenza di turno dell’Ue nel secondo semestre del 2014, sarà l’occasione per far sentire la propria voce, e per tornare a essere pienamente protagonista del processo di integrazione europea: come è sua naturale vocazione storica.
Autore: Emma Bonino | Fonte: europaquotidiano.it, articolo apparso sul numero di luglio/agosto di East – Rivista di Geopolitica