29/07/2013 – Fa ritorno in Italia, Papa Bergoglio, reduce dal suo primo viaggio internazionale e da un bagno di folla brasiliano degno della Santissima Trinità Didì-Vavà-Pelè. A Rio ha visitato le case della gente, ha solcato folle plaudenti, ha combattutto il vento e la pioggia, ma soprattutto è stato accolto per quello che è: una pop-star, in grado di radunare 3 milioni di persone sulla spiaggia di Copacabana per la cerimonia conclusiva della sua visita. Quasi tre volte il numero massimo di spettatori presenti allo storico concerto di Woodstock del 1969.
Eletto da soli cinque mesi, Bergoglio ha saputo catalizzare e in certo senso incarnare in brevissimo tempo i desideri e l’entusiasmo del suo popolo come, perlomeno nel secolo breve, quasi nessun pontefice è riuscito a fare. Un’abilità comunicativa che impressiona ma che d’altra parte non deve sorprendere, giacché dietro il Papa semplice e diretto, che proviene “dalla fine del mondo”, si cela un uomo non privo di raffinatezze intellettuali, con studi in campo filosofico, un passato da insegnante di psicologia e letteratura e da rettore della Facoltà di filosofia di San Miguel.
Popolare nelle intenzioni e populista solo in senso lato, Francesco sembra d’altro canto far spontaneamente far propri, o – questo non è dato saperlo – aver compreso appieno, i meccanismi alla base della comunicazione del nuovo secolo, rendendosi in brevissimo tempo in grado di dominarla e maneggiarla come pochi.
In un’epoca di saturazione comunicativa come quella attuale, in cui lo spettatore risulta costantemente soggetto a un surplus informativo, la possibilità concreta di bucare la coltre del sottofondo mediatico è affidata a comunicazioni capaci di agganciare l’uditore su un piano personale e non-verbale, profondamente estetico e emozionale, che prescinde a tratti anche da un vero e proprio contenuto discorsivo, o comunque da qualsiasi struttura narrativa complessa. Una forza di impatto che, non a caso, ha fatto letteralmente la fortuna della musica pop e rock, oggi divenuta veicolo imprescindibile della comunicazione pubblicitaria, o di cui reperiamo un odierno esempio nelle strategie di marketing incentrate sulla personalizzazione del packaging in funzione dell’utente.
Si tratta, d’altra parte, di un tono della comunicazione particolarmente affine a quella del medium del nostro tempo, il web. Un canale, questo, che nella sua versione 2.0 sta rapidamente imponendo a tutti gli altri media le sue caratteristiche fondamentali: un’interattività estrema con il pubblico, realizzata su un piano comunicativo orizzontale, e una valorizzazione dell’aspetto esclusivamente estetico del messaggio, come a parer mio mostrano le logiche alla base della messaggistica di Twitter – interamente fondata su giochi di parole, frasi ad effetto, affermazioni surreali – o al mondo, del tutto fotografico e perciò muto, di Instagram, che sta letteralmente erodendo dall’interno un social network più stratificato qual è invece Facebook.
Un universo mediologico insomma, radicalmente non-verbale, fotografico, emozionale, nel quale per lucida scelta o per inconsapevole attitudine Bergoglio è riuscito a concatenare una serie di elementi di sicuro successo, che hanno letteralmente infiammato i media e fatto in pochi mesi del suo pontificato un incontrastabile brand.
Ne segnalo di seguito alcuni:
- Lo strategico richiamo diretto a un santo, Francesco, già conosciuto da tutti, amato dai più, in grado di rievocare immediatamente la purezza virginale e originaria della Chiesa.
- La scelta del tema-chiave della povertà: il tema in assoluto più caldo di un momento storico in cui l’intero occidente percepisce la possibilità di sprofondare nella ristrettezza economica e al contempo paesi estremamente popolosi vedono la possibilità di uscirne. Quindi la capacità di intercettare una domanda che rimasta insoddisfatta negli anni di Benedetto XVI.
- Una presenza fisica gestuale e tangibile, fortemente orizzontale, dotata di una teatralità che la rende perfetta per le logiche della riproduzione e la diffusione fotografica. Bergoglio, al contrario di Ratzinger, dà il meglio di sé davanti all’obbiettivo, e immerso nella folla assume le movenze e il carisma di una vera rock-star.
- Una anticonvenzionalità radicale nelle prassi, nelle abitudini e nelle scelte, che genera un totale contrasto con la figura, particolarmente stereotipata, che incarna.
- Una retorica verbale assolutamente diretta, caratterizzata da pochi e semplicissimi elementi – la povertà, la semplicità, la gioia – già noti all’uditore e soprattutto reiterati in modo costante e insistito in tutte le sue orazioni.
Ma, al di là di questa innata capacità di bucare lo schermo, l’elemento davvero suggestivo del trionfo mediatico di Bergoglio è un altro: è quello, infatti, di esser riuscito a generare un personal brand che sta in un certo senso fagocitando la figura stessa del pontefice, oscurando con il suo personale carisma quello che gli proviene dal ruolo rivestito (si veda a questo proposito la significativa querelle intorno alla sua statua a Buenos Aires). Ciò che Francesco diffonde su scala planetaria non è altro, infatti, che la sua nuda umanità, e quanto la folla plaude commossa è la grandezza di un uomo che veste i panni del Papa, di un uomo che una volta prese in mano le leve del potere pontificio può imprimere a suo piacimento una direzione alla Chiesa.
Non è un caso, quindi, che il mondo intero guardi a quest’individuo come a un’eccezione nel corso della storia, in grado di avviare personalmente una rivoluzione tutta morale ed emotiva, priva di mediazioni storiche o politiche. E questo perché Bergoglio è stato in grado, una volta divenuto Papa, di sottrarre alla figura del pontefice quella dimensione istituzionale che millenni di storia le avevano attribuito, isolandone al contrario il solo aspetto mediologico. Un’operazione che ha fatto di Francesco una Pope-star, un Papa quasi privo di una dimensione verbale, esteticamente carismatico, iconografico e tecnicamente riproducibile. In una parola: pop.
Si obbietterà tuttavia che Francesco, nel far questo, si è inserito nel solco di quanto anticipato da Wojtyla. Osservazione senz’altro pertinente: Giovanni Paolo II è forse stato tra i primi pontefici in assoluto a “orizzontalizzare” la figura del Papa, assegnandole un aspetto umano precedentemente inedito. Ma va sottolineato al tempo stesso che il pontificato di Wojtyla è stato impregnato fin dal principio da una forte significazione politica e teologica, di un messaggio retrostante la sua stessa figura, che ha impedito la “conversione” del suo pontificato in un evento esclusivamente mediatico e personalistico, quale invece sembra essere quello di Francesco.
Al contrario, l’ascesa al soglio pontificio dell’uomo che viene “dalla fine del mondo”, investita dalle contingenze storiche e dall’immaginario spirituale di una significazione unicamente morale, sembra aver reso possibile un papato antipolitico e anti-istituzionale capace di prescindere da una relazione dialettica con il mondo che lo circonda, e proprio per questo in grado di relazionarsi ad esso con il solo uso di strumenti mediatici.
Un approccio in realtà inedito, le cui conseguenze sull’identità e sull’assetto della Chiesa di Roma saranno chiare solo negli anni a venire.