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11/09/2013 – “Stai calma, non ti muovere, stai lì, stanno venendo a prenderti” dice la centralinista del 911 a Melissa Doi. Lei continua a lamentarsi che “fa caldo, il pavimento è caldo, abbiamo paura”. Come tanti altri si trova sopra lo squarcio provocato da uno degli aerei che hanno colpito le Torri. Sotto di lei le fiamme provocate dall’impatto stanno erodendo l’acciaio che tiene in piedi la struttura del palazzo. Melissa sarà una delle oltre tremila vittime dell’ 11 Settembre 2001.
“Ascoltami, mi devi ascoltare molto attentamente. Sono su un aereo. E’ stato dirottato. Ti amo tanto. Di’ ai miei figli che li amo tanto”. Ceecee Lyles è una hostess. Si trova sul volo United Airlines 93, uno di quelli dirottati l’11 settembre 2001, quello che si schianterà sulla Pennsylvania, senza raggiungere il proprio obiettivo. La sua ultima telefonata è rimasta registrata sulla segreteria telefonica del marito e resa poi pubblica. In quel lasso di tempo tra l’inizio dell’attacco fino al crollo delle Torri Gemelle, sono centinaia le persone che hanno provato prima a cercare aiuto chiamando il 911 (il numero delle emergenze negli Usa) e poi, di fronte alla consapevolezza della morte, hanno tentato di salutare per l’ultima volta le persone care.
Una delle prime telefonate partite dall’interno delle Torri è quella di Christopher Hanley, 35enne che si trovava all’ultimo piano del World Trade Center. Quattro minuti prima un aereo si è schiantato nel palazzo. Hanley non ha ancora chiaro che cosa sia successo. Nella sua chiamata al pronto intervento la voce è calma. Spiega che c’è molto fumo e chiede l’intervento di qualcuno. Anche l’operatore gestisce la telefonata secondo le procedure standard. Suggerisce di non agitarsi, di aprire le finestre. “Stiamo arrivando” assicura. Ma nessuno riuscirà a raggiungere Hanley.
Richieste di aiuto al pronto intervento, via via con voci sempre più spaventate, fino ai messaggi di addio sulle segreterie telefoniche o nei cellulari. Dall’altra parte operatori telefonici impossibilitati a gestire un evento fino a quel momento inimmaginabile.
“I miei unici pensieri sono per Nicholas, Ian e te” si legge in un sms inviato l’11 settembre. “Sono terrorizzata. Ho bisogno di dirti quanto veramente ti ami. Diane” si legge in un altro. Tutti i messaggi spediti da cellulare a cellulare sono stati resi pubblici da Wikileaks nel 2009. Come le registrazioni audio, sono una finestra aperta sull’ansia e le emozioni profonde di quel giorno. “So che hai una relazione nuova e non ti importa più nulla di me – si legge in un sms – Ma nonostante ciò che possa accadere oggi sappi che ti amo”. Tra i tanti messaggi di addio, paura e angoscia spunta anche qualche spiraglio di speranza: “Urgente. Sono Tim. Sto bene. Ero fuori dall’edificio quando è esploso, ma sto bene”. “Papà, ti voglio bene e sono felice che stia bene. Chiamami appena sei a casa” si legge in un altro.
L’ultimo a telefonare dal World Trade Center è Kevin Cosgrove, manager che si trova al piano numero 106. Sta parlando con il 911 per cercare di capire se riusciranno a raggiungerli. All’operatore confessa di aver mentito alla moglie, di averle detto che era riuscito a mettersi in fuga, per tranquillizzarla. La chiamata si interrompe di colpo. Mentre parla si sente un boato. Il palazzo sta crollando sotto di lui. Kevin Cosgrove grida: “Oh my god”. Poi, solo il silenzio.
Quello che più mi ha colpito di questa immane tragedia che ha segnato per sempre il nostro secolo è cosa passa per la mente quando si ha la consapevolezza che si sta per morire, che la telefonata o il messaggio che mandi non avranno una replica, o perlomeno tu non potrai più ascoltarla.
Io non credo che sarei capace di dire tutto quello che provo, o comunque lo direi male, divento maldestra e inopportuna quando sono troppo coinvolta emotivamente, è talmente crudele dare la buonanotte o il buongiorno a chi ami e poi rendersi conto all’improvviso che è stato l’ultimo, che non ci sarà più tempo, che non ci saranno più cose da dire o da fare, che non ci sarà rimedio per discussioni o polemiche inutili.
Ma credo che in quegli ultimi tragici momenti, uomini e donne che erano nelle torri o sugli aerei dirottati volevano solo sentire per l’ultima volta chi amavano, lasciare loro un segno, un ricordo, come se fossero lì negli ultimi istanti a tenergli la mano, per avere meno paura e credo che io avrei fatto lo stesso.
Perché alla fine: “Love is the answer and you know that for sure” ( John Lennon)
Autore: Alexsandra Panama | Vai al blog di Alexsandra Panama!