15/10/2013 – In Senato si discute il “sistema spagnolo”. Ma i sostenitori del grande centro puntano sul Maialinum.
Improvvisamente si torna a parlare di legge elettorale. Il superamento del Porcellum, mai attuale durante la recente crisi di governo, è di nuovo all’ordine del giorno. E così il Parlamento si appresterebbe ad archiviare – dopo le ultime vicende il condizionale è d’obbligo – l’attuale sistema di voto. Una riforma tutt’altro che banale. Dopotutto è proprio dalla nuova legge che dipenderanno i futuri assetti politici. È la nuova norma che archivierà per sempre l’esperimento delle larghe intese (o in alternativa ne perpetuerà l’esistenza).
Tanti gli scenari. Il primo, imprescindibile, è proprio il Porcellum. L’attuale legge elettorale. Un sistema proporzionale a liste bloccate, con un premio di maggioranza difforme tra Camera e Senato (a Montecitorio è attribuito su base nazionale, a Palazzo Madama a livello regionale). E così il risultato è difficilmente preventivabile. La legge Calderoli è in grado di consegnare a uno schieramento la possibilità di governare, come è accaduto con il centrodestra nel 2008. Ma anche di paralizzare gli equilibri politici. Dopotutto anche le larghe intese del governo Letta sono, senza dubbio, la conseguenza diretta del Porcellum.
Fatta salva la posizione del Movimento Cinque Stelle – disposto a tornare al voto con il Porcellum in vista di una riforma da approvare nella prossima legislatura – ufficialmente il sistema è inviso alla quasi totalità del Parlamento. Almeno a parole. In realtà non è un mistero che l’esistenza delle liste bloccate e la possibilità dei leader di partito di far eleggere un gruppo di deputati e senatori a propria immagine e somiglianza rappresenti un ottimo stimolo per ritardare la riforma. Da questo punto di vista stona la figura di Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera ed esponente renziano del Pd. Da ormai una settimana è in sciopero della fame – e non è la prima volta – per sollevare l’attenzione sull’abolizione della norma.
Dal Porcellum al Maialinum il passo è breve. Ecco la piccola mutazione a cui potrebbe presto andare incontro l’attuale legge elettorale. Per garantire una “safety net” che permetta di tornare al voto senza le storture del sistema in vigore, in Parlamento si valuta la possibilità di approvare una serie di modifiche alla norma. Correttivi minimi – in attesa di una riforma più ampia – dall’esito potenzialmente rivoluzionario. Il fine auspicato da molti è la correzione del sistema di attribuzione del premio di maggioranza. In sostanza, si vorrebbe subordinare il premio al raggiungimento di una soglia minima di voti. È chiaro che un’asticella vicina al 40 per cento, data l’attuale frammentazione politica, renderebbe l’obiettivo irraggiungibile. Risultato: un proporzionale puro, con l’aggiunta di liste bloccate. Una manna per l’ipotetico asse Letta-Alfano, che garantirebbe la sopravvivenza delle larghe intese da qui all’eternità. O quasi. Per dirla con le parole di un esperto: sarebbe il pilota automatico dei governi di unità nazionale.
Difficile tornare a parlare del Mattarellum. Il sistema elettorale precedentemente in vigore, un maggioritario a turno unico con collegi uninominali per il 75 per cento dei seggi con un correttivo proporzionale. Invano nei mesi precedenti si è tentato – anche attraverso una proposta referendaria bocciata dalla Consulta – di riportare in vigore la norma. Nonostante sulla carta ci sia un’ampia convergenza – esclusa la ferma opposizione del Pdl – anche stavolta in Parlamento non sembrano esserci i numeri per l’approvazione.
Intanto al Senato si lavora alla riforma. Dopo alcuni ritardi, nei prossimi giorni la Commissione Affari costituzionali presenterà una serie di linee guida per il testo che dovrebbe sostituire il Porcellum. Non c’è ancora una bozza vera e propria. Piuttosto Pd e Pdl cercano di elencare i punti su cui incardinare un possibile accordo. Il risultato sembra portare verso un sistema proporzionale dagli effetti maggioritari di tipo spagnolo. Una legge elettorale con circoscrizioni molto piccole e liste bloccate corte. Un modo come un altro per legare i candidati al territorio, superando una delle principali storture del Porcellum. Si ragiona sull’equilibrio di genere e su una soglia di sbarramento unica al 5 per cento. Linee guida su cui la settimana scorsa anche il Movimento Cinque Stelle si è detto disposto a lavorare per trovare un’intesa. L’esito di una simile riforma? Difficile a dirsi. Come per la legge Calderoli, la frammentazione politica e il responso delle urne potrebbero garantire la governabilità a uno schieramento, ma anche rendere necessario il ricorso a un nuova fase di larghe intese.
E poi c’è chi come Matteo Renzi al bipolarismo non vuole assolutamente rinunciare. Non stupisce allora che alcuni giorni fa, intervistato da La Stampa, il sindaco di Firenze abbia annunciato: «Per la riforma delle legge elettorale ripartiremo dalla bozza Violante». La proposta del sindaco di Firenze sarà presentata a fine novembre, ma già questa mattina ne parleranno i vertici del Partito democratico, riuniti al Nazareno. È l’ultimo scenario da prendere in considerazione, tralasciando le tante riforme che pure sono state depositate in Parlamento. Un proporzionale a doppio turno, con effetti maggioritari, mutuato dal meccanismo per l’elezione di sindaci e consigli comunali delle grandi città. Una legge che dovrebbe garantire l’alternanza, allontanando gli spettri di grande centro. Una proposta molto simile al disegno di legge presentato mercoledì scorso alla Camera, tra gli altri, dalla democrat Rosi Bindi. L’impianto ricalca da vicino il sistema studiato dal costituzionalista Roberto D’Alimonte. L’unico, per Bindi, in grado di «mettere in sicurezza il bipolarismo italiano», eliminando i rischi di «larghe intese a vita».
Autore: Marco Sarti | Fonte: linkiesta.it