18/10/2013 – Europcom – il forum sulla comunicazione pubblica in Europa – alla quarta edizione ha chiuso i battenti ieri. Nel sistema comunitario c’è aria di attesa (a metà del prossimo anno nuovo Parlamento e nuova Commissione) in cui si mescolano conflitti tra le istituzioni comunitarie e preoccupazioni per derive anti-europee in molti paesi a fronte di scarsa attenzione dei cittadini.
Organizzato dal Comitato delle Regioni UE (e ospitato dal Parlamento europeo per la sessione di apertura) l’evento non è stato un rullo di tamburi delle istituzioni comunitarie per parlare di se stesse (caso abbastanza frequente). Ma piuttosto il coinvolgimento di soggetti terzi (università, ricerca, consulenza) con la partecipazione di un migliaio di operatori, in larga misura giovani (in prevalenza donne), che non ha fatto prediche finali e si è posto invece l’obiettivo di fare emergere una certa “temperatura”.
Diciamo i nodi di una cultura amministrativa che, per sostenere il mestiere della comunicazione pubblica, deve misurarsi con molti fattori ostacolanti. E’ di ostacolo una certa politica (non tutta) avvolta dall’idea che comunicare sia solo rendere visibile se stessa. E’ di ostacolo un’alta amministrazione (quella della cultura giuridica del controllo) che ancora oggi pensa che comunicare sia un fastidio e un rischio. E’ di ostacolo un sistema di impresa che preferisce più il lobbying che il dialogo.
Insomma, volendo organizzare in modo serio questi tre ring verrebbero in emersione problemi di conservatorismo e di innovazione che di solito vengono presentati sotto altra forma. Attraverso la rappresentazione politica (destra o sinistra), oppure rapportati alla “medicina” tecnologica, per cui la rete è sempre salvifica (ed è evidente che un po’ lo sia) mentre pubblicità e media relations sono il vecchio che avanza (anche se qui generalizzare è un po’ rischioso).
L’ architettura di Europcom ha offerto qualche spunto su questi temi, pur sempre nella prudenza di un programma espresso dalle istituzioni. Ma avendo voglia di ascoltare, si possono sentire anche voci disallineate. Ne cito tre, per ragioni di spazio. Ma anche per il loro carattere abbastanza provocatorio.
• In apertura di conferenza, tutti gli esponenti UE (Consiglio, Commissione, Parlamento, Comitato Regioni e Comitato economico-sociale) si sono sforzati di verificare se il loro “messaggio” sia adeguato ad impedire che le elezioni del Parlamento Europeo nel 2014 finiscano poco partecipate e soprattutto con esito euroscettico. Matthew McGregor, un inglese del team elettorale di Obama, ha però tentato di spiegare che per battere la crescita di sfiducia non c’è messaggio che tenga. L’unica cosa da fare e’ organizzare seriamente l’ ascolto. Insomma è questa la tendenza della comunicazione politica USA che ormai sceglie la pista bottom up (che tuttavia, malgrado la forma spontanea ha bisogno di una certa organizzazione) per evitare il disinteresse a fronte del bombardamento pubblicitario. A Europcom risposte di cortesia, ma non seria revisione delle iniziative in corso.
• A metà conferenza e’ un altro inglese, già direttore del disciolto Central Office of Information britannico, Kevin Traverse-Healy, che ha annunciato la decisione del governo di Londra di rendere obbligatoria la valutazione delle campagne di comunicazione pubblica. Introducendo due livelli di “ritorno”: quello del rendimento finanziario e, meno esplicito, quello del rendimento sociale. In realtà la nota governativa che annuncia la riforma della struttura di comunicazione del governo (del 15 ottobre) è molto animata da uno spirito “aziendale” per cercare di salvare budget e risorse umane dimostrando – come è nella tradizione inglese – che quel prodotto “serve”. Anche qui le reazioni sono parse deboli, insicure del fatto che stati nazionali e istituzioni UE abbiano la forza di lavorare davvero su questa procedura (che per la verità sarebbe indispensabile).
• A fine conferenza un terzo inglese (evidentemente sta qui, nella vecchia esperienza professionale e civile dei britannici in questo campo, un punto di forza del nuovo dibattito), Simon Anholt, che si occupa di analizzare i ranking di immagine di nazioni e città, ha messo in guardia sull’eccesso di propagandismo che traspare attualmente dalla comunicazione pubblica in Europa, ammonendo che non è imitando i modelli aziendali (magari con una punta di polemica per il citato provvedimento del governo Cameron) che si genera un vero servizio alla democrazia e alla partecipazione civile. Anche qui prudenti accoglienze. Il tema c’è, i giovani hanno apprezzato, ma la generalizzazione non e’ stata molto gradita dagli “istituzionali” presenti.
Europcom è un tentativo di fronteggiare il bisogno di conoscenza che c’è in tanti giovani che arrivano alle istituzioni (europee, nazionali, locali) con uno spirito moderno e un certo grado di libertà. Ma che spesso, per paura di perdere il posticino precario che hanno rimediato, non si spingono troppo in avventure critiche. Per questo, volendo, si sentono voci interessanti. Ma non si sentono proposte. O per lo meno non si formulano proposte. E qui altri dovrebbero provvedere. Intanto coloro che si preparano alla presidenza europea (nel 2014 sono prima i lettoni e poi gli italiani) che dovrebbero partire da questo genere di laboratori per porsi alcune domande e costruire, nelle procedure difficili del processo di integrazione, soluzioni a misura di un grande soggetto globale, quale l’Europa non può rinunciare ad essere.
Autore: Stefano Rolando | Fonte: linkiesta.it