Qualche riga sul “Sindachellum”

Qualche riga sul “Sindachellum”

renzi28/10/2013 – Matteo Renzi ha portato una indubbia ventata di novità nella politica italiana in generale e nel plumbeo e soporifero ambiente del centrosinistra in particolare e questo è un merito che non si può certo negargli.

Purtroppo, bisogna però anche sottolineare che Matteo Renzi di questioni istituzionali non ha mai dato l’impressione di capirci qualcosa e la frase sprezzante di oggi (“Io dell’appello dei Costituzionalisti non so che farmene!”, sentenza che immagino pronunciata con le mani sui fianchi…) mi fa pure pensare che non intenda trascorrere le poche serate libere a colmare le sue evidenti lacune su un terreno tanto importante, quanto snobbato dai nostri politicastri di ogni colore o livello, nessuno dei quali ricorda certo il John Kennedy che – diventato presidente – si premurò di “svaligiare” le università, i centri di ricerca e le grandi aziende a caccia delle migliori intelligenze da chiamare alla sua corte.

Matteo Renzi si è quindi pronunciato – dall’alto del suo Elevato Magistero intellettuale – in favore di una riforma elettorale ispirata al modello con il quale vengono eletti i sindaci nei grandi comuni, normativa che si regge su tre pilastri: il riparto proporzionale, il premio di maggioranza, le preferenze. Nessuno di questi tre utile a garantire la stabilità e neppure la riforma della rappresentanza politica, come mi sforzerò in sintesi – e spero con chiarezza – di argomentare.

Come Giovanni Sartori ha brillantemente dimostrato già negli anni ’70,  il riparto proporzionale –  in presenza di un quadro politico caratterizzato da partiti poco strutturati e volatilità elettorale elevata – favorisce la proliferazione di liste e partiti. E non penso che si possa contestare che il nostro sistema politico sia caratterizzato da elevata fluidità, scarsa coerenza programmatica e ideologica, e limitata strutturazione del sistema partitico. E certo non abbiamo bisogno di polverizzare la rappresentanza, ma di rafforzarla e ristrutturarla.

Il premio di maggioranza non esiste in nessuna grande democrazia e ci sarà una ragione. L’esperienza di 3 elezioni con questo sistema ci ha dimostrato che esiste la tendenza – probabilmente patologica – a costruire coalizioni fittizie, finalizzate al conseguimento del premio e non da una reale condivisione di programmi e visioni politiche di medio-lungo periodo. E infatti, nel 2006 la coalizione di Centrosinistra (13 partiti) si sfasciò dopo poco più di un anno per insanabili contrasti più o meno su tutto. Nelle elezioni successive – 2008 – FI e AN si fusero assieme per finalità meramente elettorali, ma anche in questo caso, dopo la vittoria elettorale, non ci volle molto perché i contrasti venissero alla luce e il governo iniziasse a boccheggiare nell’incertezza. Infine, nel 2013, il PD ottiene lo spropositato premio di maggioranza previsto dal “Porcellum” (46% dei seggi con il 25% dei voti) e immediatamente dopo cambiò le alleanze, scaricando SEL (partito senza il quale il premio non sarebbe stato conseguito) e dando vita alle “grandi intese”. Si, lo so, le grandi intese sono state una scelta obbligata ecc. ecc. ma il punto è chiaro: il premio di maggioranza non garantisce la stabilità e non impedisce la costituzione di coalizioni meramente elettorali.

Infine, terzo caposaldo della legge per i sindaci è il voto di preferenza. La preferenza è notoriamente fonte di clientelismo, aspetto già grave a livello locale, particolarmente deleterio sul quadro nazionale, soprattutto se applicato a un paese come l’Italia, che è la democrazia europea con più alto tasso di corruzione politica. Gli studi di Transparency International, infatti, collocano il nostro Paese al 72° posto al Mondo nella “scala della virtù”, mentre nel 2001 eravamo al 21°. Perdere 51 posizioni in 12 anni significa che esiste una vera e propria emergenza corruzione e quindi non mi pare ci sia il bisogno di ulteriori incentivi al malaffare e al malcostume. Inoltre, la vulgata recente vuole che le preferenze siano attribuite con il meccanismo della “doppia preferenza di genere”. L’ho sempre considerata una fesseria, soprattutto perché porta alla creazione di cordate elettorali, anche queste potenziali causa di malcostume politico e forme di improprio controllo del voto.

Insomma, il “Sindachellum” invocato da Renzi non risolverebbe nessuno dei problemi della politica italiana. Non garantirebbe stabilità, perché questa è una virtù politica e non si può conseguire con trucchi tecnici e fino a quando esisterà il bicameralismo perfetto, non si può sperare in governi stabili in ambo le Camere. Il “Sindachellum” non favorirebbe inoltre la riforma dei partiti politici e neppure una maggiore riqualificazione della rappresentanza che è un’urgenza a parer mio ancora maggiore della stabilità. Perché un sistema democratico può sopravvivere a governi instabili (il caso della I Repubblica lo ha dimostrato chiaramente), ma rischia di tracollare se non si riannoda il “filo spezzato” del rapporto tra eletti ed elettori, senza il quale il sistema perde legittimità. E la caduta della legittimità trasforma una crisi nella democrazia in una crisi della democrazia.

Ma questo è un tema diverso, ne scriverò in un’altra domenica di pioggia e di tedio simile a questa…

Autore: Marco Cucchini

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