Incontri Stan Greenberg di passaggio in Italia, dove a Villa La Pietra ha partecipato a un appuntamento pubblico assieme al sondaggista di Barack Obama, Joel Benenson, e come al solito è indaffarato, molto indaffarato. Con gli Stati Uniti, certo, dove con la sua società di consulenza prende il polso al Tea Party, prima e dopo il duello sull’Obamacare. Ma anche con gli altri fronti della sua attività diglobetrotter, di playmaker dei progressisti su scala globale, dal Labour di Ed Miliband, per il quale segue il percorso che lo porterà fino alle elezioni per Downing street, fino al più che probabile sindaco di New York, Bill de Blasio, che si affida alla figlia di Stan, Anna, per i sondaggi.
Si parla, e a lungo, di Italia e della scena politica (che Greenberg conosce per filo e per segno, almeno da quando nel 2001 lavorò per il centrosinistra nella sfida, persa di poco, contro Berlusconi). Ma la domanda inevitabile per chi è stato nella war room di Bill Clinton non riguarda Matteo Renzi o le prossime elezioni israeliane, ma Hillary, ovviamente.
Non ti dice se si candiderà o meno, anche se l’impressione che si ricava dal suo sorriso tagliente e che la scelta sia già alle spalle, sia già stata presa, e che l’old boys network che ha sempre seguito le avventure dei Clinton (lui, James Carville, ad esempio) sia non solo pronto a rimettersi in pista, ma già attivo, in campo.
Certo, nel 2008, la squadra di Hillary fu uno dei motivi della sua rovinosa sconfitta: gli scontri, le faide intestine di un team con troppi generali. E, in qualche modo, l’ex-segretario di Stato dovrà fare i conti con quell’insuccesso, anche dal punto di vista metodologico: «Lei è in questo momento così in pieno dentro la traiettoria da leader che non sono sicuro che si guarderà alle spalle», è il caveat di Greenberg. «Non ha vinto, certo, e ovviamente, sa che non potrà ripetere la sua campagna per le primarie. Penso, però, avverte il sondaggista, che commetterebbe il suo più grande errore se decidesse di ridarle vita o di focalizzarsi sul passato. Sa bene che gli elettori sono concentrati sul futuro». Già, non era proprio quello il tormentone della prima campagna del marito, il mantra, “don’t stop thinking about the future”?
D’altra parte, però, «lei è uno dei pochi candidati al mondo che può correre da presidente o primo ministro, senza curarsi minimamente delle proprie credenziali, con il lavoro che ha fatto come segretario di Stato, senatrice, sfidante del 2008, First Lady, con il suo impegno su formazione e infanzia». Insomma, che sia pronta, come recitavano le ingiallite insegne della sua campagna 2008, non lo può mettere in dubbio nessuno: adesso semmai è il momento di concentrarsi sul «carattere, la forza, la comprensione delle vite delle persone e su una direzione futura».
Non sarà facile, dopo due legislature democratiche e la crisi che morde feroce in un paese così polarizzato, anzi sempre più polarizzato: «Quando scenderà in campo – osserva Greenberg, assertivo – molti americani non avranno visto una crescita del proprio reddito da almeno 5 anni, così come posti di lavoro pagati sempre meno». Abbastanza, insomma, per lasciare da parte le vecchie campagne, le medaglie e le ferite, e mettere a fuoco, piuttosto, «quello che stanno provano le persone e i progetti che gli americani hanno per vivere una vita migliore». Suonerà un po’ retorico, e tutto dentro la narrativa tipica di Greenberg, un po’ lotta di classe, molto classi medie impoverite che provano a riprendere iniziativa e reddito (date un’occhiata al messaggio di Ed Miliband sul “centro stritolato”, compresa la battaglia sul congelamento delle tariffe energetiche e ci riconoscerete il tipico frame del vecchio Stan).
Vabbè, ma insomma, in questa sfida tu ci sarai, se Hillary correrà per succedere a Obama (dal quale, tra l’altro, sta già cominciando a prendere le distanze, quantomeno come tono di fondo, in particolare sull’eccessiva polarizzazione della vita politica americana, elogiando invece il compromesso e il senso comune che sa tanto di Terza Via dei cari, vecchi tempi di Bill)? Tu ci riprovi, ma il sondaggista ti guarda e sorride, senza rispondere. Deve scappare, in Austria, poi c’è l’Argentina, l’est Europa. Ma non importa. Abbiamo capito, Stan, abbiamo capito bene.
Autore: Filippo Nensi | Fonte: europaquotidiano.it