22/11/2013 – A 50 anni dalla sua uccisione avvenuta il 22 novembre 1963, John Fitzgerald Kennedy è considerato ancora il più grande comunicatore nella storia dei presidenti degli Stati Uniti d’America. Senza di lui Obama non sarebbe quello che conosciamo oggi. Il suo fascino è rimasto immutato col passare delle generazioni e le sue innovazioni comunicative sono considerate ancora attualissime e utilizzate in tutte le grandi campagne elettorali e i grandi discorsi.
Ma qual è il segreto del carisma di Kennedy? La comunicazione di ognuno di noi, il modo in cui arriviamo agli altri, si divide in verbale e non verbale. Vediamo quella verbale di JFK.
Alcune figure retoriche usate nei discorsi di Kennedy sono così efficaci che le ritroviamo anche ai nostri giorni fra i comunicatori di tutto il mondo, compresi quelli italiani. Ad esempio Matteo Renzi quando dice frasi del tipo: “non è la Leopolda ad essere strana, sono strane le cose al di fuori della Leopolda” si ispira alla tecnica resa celebre daKennedy durante il suo discorso inaugurale del proprio mandato il 20 gennaio 1961 quando per incentivare la partecipazione disse: “Non chiedete cosa possa fare il paese per voi. Chiedete cosa potete fare voi per il paese”.
I discorsi di Kennedy hanno fatto la storia e come tutti i grandi classici sparano all’orologio del tempo. Il suo discorso più celebre fu forse quello del 26 giugno 1963, quando il presidente Kennedy visitò Berlino Ovest e si pronunciò contro la costruzione del Muro di Berlino.
In questa occasione Kennedy voleva comunicare la sua vicinanza e il sostegno degli Stati Uniti a tutta la città di Berlino, seppur divisa dal muro. Sapeva che non c’è modo più efficace di comunicare al cuore di una persona se non quello di farlo nella sua stessa lingua. Decise quindi di pronunciare una frase pregna di senso d’appartenenza nella lingua locale, il tedesco, come segue:
«Duemila anni fa l’orgoglio più grande era poter dire civis Romanus sum (sono un cittadino romano). Oggi, nel mondo libero, l’orgoglio più grande è dire ‘Ich bin ein Berliner‘ (io sono un berlinese). Tutti gli uomini liberi, dovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e quindi, come uomo libero, sono orgoglioso delle parole ‘Ich bin ein Berliner!’»
Per lo stesso effetto oggi i fans di un cantante esplodono in isteriche urla quando il loro idolo straniero dice nella lingua del posto frasi, anche banali, come “ciao Roma”, “come va Milano?” sbagliando spesso la pronuncia (come anche nel caso di Kennedy a Berlino).
Nello stesso discorso sempre con l’intento di promuovere unità pronunciò la celebre frase: “La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero.”
21/11/2013 – Retorica, frasi ad effetto, artifici e finezze. Ma il tutto sempre ricco di contenuto. I suoi discorsi abbelliti da figure retoriche di vario tipo erano allo stesso tempo pertinenti e trattavano utilmente i temi e i problemi legati al momento.
Nei discorsi di Kennedy la forma serviva ad attirare l’attenzione dell’uditorio affinché ascoltasse; emozionare serviva a penetrare oltre la mente razionale così da imprimere a fondo i concetti e farli ricordare; le frasi ad effetto servivano per scatenare i giornali e facilitare il passaparole. Ma mai tutto ciò sostituiva il messaggio. Il contenuto restava la parte più importante del suo discorso. Tutto il resto si piegava ai contenuti, non viceversa.
L’arte oratoria di J.F. Kennedy fu uno degli elementi del suo grande successo ma non l’unico. Alcuni episodi della sua carriera, seguiti da sondaggi ci rivelano altro. A domani per la seconda parte.
Autore: Marco Venturini | Fonte: huffingtonpost.it