26/11/2013 – Patrizia Catellani è un professore ordinario di Psicologia Sociale presso l’Università Cattolica di Milano. Docente dei corsi di Psicologia Sociale della Politica e Psicologia della Comunicazione presso la Facoltà di Scienze Politiche è autrice di circa settanta pubblicazioni che comprendono articoli su riviste scientifiche internazionali e nazionali, capitoli di volumi e volumi. Il nostro direttore – Christian Lalla – l’ha intervistata per voi, enjoy politics!
Professoressa Catellani, la psicologia politica ha assunto in questi anni un ruolo centrale nell’ambito della psicologia sociale applicata affrontando una serie di questioni rilevanti per gli studiosi come per i cittadini, ma cos’è la psicologia politica?
La psicologia politica si occupa di studiare i pensieri, le emozioni, i bisogni e il comportamento degli elettori – soprattutto degli elettori – ma anche naturalmente di tutti coloro che si occupano di politica, come gli eletti, i giornalisti, gli addetti ai lavori in generale.
Lo studio del ragionamento degli elettori è forse tra i più trascurati nel panorama politico italiano, l’elettore diventa interessante solo al momento del voto, solo nel momento in cui si vuole guadagnare il suo consenso, viene così trascurato nel periodo extra elettorale, mentre sarebbe sempre necessario studiare, da parte del personale politico e dei partiti politici, i suoi bisogni, le sue motivazioni e le emozioni che prova.
Nel mondo anglosassone e negli Stati Uniti la psicologia politica ha avuto molto spazio nel suo utilizzo da parte del sistema politico, in Italia siamo ancora indietro su questo terreno, ciò dipende dalla centralità riconosciuta ai cittadini dal sistema politico e in particolar modo a quelli che sono i suoi bisogni e le sue necessità. Nel contesto anglosassone questa centralità mi sembra si sia sviluppata meglio, da più tempo e con maggior slancio, forse anche perché i cittadini stessi partecipano alla vita politica del proprio territorio con maggiore consapevolezza e un maggior senso critico. I cittadini anglosassoni votano non soltanto per delegare ma valutano in modo critico quello che è l’operato dei propri eletti, invece in Italia spesso il voto si trasforma in una semplice delega data malvolentieri con una forte critica nei confronti della politica.
Gli esperti e le professionalità nel campo della psicologia politica sono coinvolti, dagli istituti di ricerca e dai soggetti politici in generale, nella realizzazione di analisi inerenti i comportamenti, i bisogni e le emozioni degli elettori?
In Italia non molto, mi piace questa domanda perché uno dei problemi dei sondaggi credo sia proprio il modo in cui sono formulate le domande, quindi direi che manca – o per lo meno in Italia è mancato fino ad ora – questo tipo di contatto tra istituti di ricerca e psicologi politici.
Tuttavia, proprio per superare questo gap, insieme ad altre professionalità, tra cui sociologi e politologi, abbiamo creato un gruppo interdisciplinare, denominato ITANES – “Italian National Election Studies”. Si tratta di un’associazione di studiosi, il cui interesse prevalente si concentra proprio sul comportamento elettorale.
Grazie a questa esperienza mi sono resa conto di come sia importante questa interazione tra professionalità e competenze diverse, infatti, i questionari che elaboriamo, sono frutto dell’interazione inter disciplinare, dove lo psicologo politico può aiutare a formulare le domande del questionario in maniera tale che le risposte dei cittadini non siano guidate dalla domanda, ma che le risposte alla domanda del questionario siano davvero in grado di cogliere le vere esigenze del cittadino: spesso quello che vediamo sono delle domande confermatorie ovvero nella domanda c’è già una risposta.
In Italia corriamo il rischio di utilizzare la psicologia politica per “accontentare gli elettori” e non viceversa per comprenderne davvero i bisogni e le esigenze?
La conoscenza dei meccanismi di persuasione e dei meccanismi psicologici che portano alle scelte è chiaro che ti portano ad avere una consapevolezza che puoi utilizzare con vari fini.
Nelle recenti campagne elettorali americane sappiamo che alcuni dati relativi ai bisogni, alle opinioni e ai desideri degli elettori, vengono utilizzati dagli Spindoctor e da tutti coloro che gestiscono questi big data. La possibilità di accedere alle singole preferenze degli elettori per confezionare dei messaggi di tipo “tailor made” – ovvero dei messaggi che puntano direttamente al bisogno degli elettori, quindi quello che io ti dico in realtà è ciò che tu voteresti sentirti dire, per questo tu mi voti – questo effettivamente può essere un rischio, ma non è un rischio per chi insegna e chi si occupa di psicologia politica, chi fa la mia professione si rivolge a tutti e non ad una singola parte, non è solo lo Spindoctor il terminale ultimo degli studi di psicologia politica, ma è anche il cittadino elettore che deve essere più consapevole di certi meccanismi, perché un cittadino informato e consapevole può fare certamente scelte migliori e più adeguate.
Se ad esempio come cittadino capisco e conosco le tecniche di comunicazione che un politico utilizza quando è coinvolto in uno scandalo, per smarcarsi dalle accuse che gli sono rivolte, attraverso tecniche che definiamo di normalizzazione, o tecniche utili per scaricare su altri la responsabilità delle proprie azioni – e molti politici sono abili in queste tecniche, in questo tipo di giochetti e di strategie comunicative – posso scegliere in maniera più critica e lasciarmi incantare meno da un aspetto di superficie.
La psicologia politica quindi può essere usata, come tutte le discipline, per la manipolazione delle informazioni e della comunicazione, tuttavia un cittadino informato e consapevole di queste tecniche, seppur non conosciute nella loro profondità, può partecipare alla vita democratica del suo Paese con maggiore consapevolezza e scegliere i propri rappresentanti sulla base di un ragionamento tutt’altro che superficiale.
I Big Five ovvero uno dei modelli utilizzati dalla psicologia per l’analisi della personalità di un individuo possono essere, secondo lei, uno strumento utile per lo studio della personalità dei politici o esiste qualcosa di più evoluto e raffinato rispetto a questo modello?
Accanto ai Big Five ci sono altri modelli che sono stati sviluppati tra cui i Big Two dove analizziamo altre dimensioni della personalità in realtà abbastanza affini a quelle dei Big Five. Tuttavia, mentre lo studio sul Big Five è nato come inventario di personalità – dove le persone compilano dei questionari e si auto valutano o valutano gli altri su una serie di tratti – nei Big Two analizziamo dimensioni che derivano da altri studi cosi detti di impressione di persona – che risalgono agli anni ‘50 nei loro inizi – attraverso i quali si può vedere cosa le persone guardano negli altri, soprattutto per valutare il rapporto tra domanda e offerta e quello che effettivamente viene chiesto a un leader, ci sono una serie di identificatori di questi tratti molto sottili – come la comunicazione non verbale – utili da studiare e da applicare al mondo politico.
Intervista a cura di Christian Lalla | Fonte: spinningpolitics.it | Link all’articolo