Nell’ultimo numero di New Eastern Europe, una rivista polacca dedicata all’Est e pubblicata con cadenza trimestrale, Igor Lyubashenko scriveva che in Ucraina è in corso una potenziale rivoluzione, stimolata dal web. Sempre più persone sono connesse, alla rete e tra loro. Questo processo potrebbe dare vita – secondo l’autore – a una serie di proteste, con nuove forme di organizzazione e un ruolo importante per i nuovi media.
Quasi una profezia, visto com’è andata in questi giorni a Kiev. Dopo il no del presidente ucraino Viktor Yanukovich alla firma degli accordi economici e commerciali con l’Unione europea e il conseguente naufragio del vertice di Vilnius, il cui successo dipendeva proprio dall’intesa euro-ucraina, la gente è scesa in piazza. Per rivendicare il diritto a perseguire il processo di integrazione con l’Europa e polemizzare, conseguentemente, contro le scelte del capo dello stato e la pesantezza dell’ipoteca esterna russa. Questa, almeno, la narrazione più gettonata costruita dai giornali.
La questione ucraina è molto più articolata. Non si riduce al bivio Europa/Russia e lo stesso Yanukovich non è un incallito filorusso, così come Yulia Tymoshenko, l’ex primo ministro, finita in carcere dopo l’avvento al potere di Yanukovich, non va vista come una pasionaria che vuole tagliare i ponti con Mosca e allungare il passo verso Bruxelles. A modo loro entrambi sono ispirati dall’esigenza di tenere conto sia dell’uno che dell’altro vicino, consapevoli che l’Ucraina deve restare in equilibrio. La differenza – una delle differenze – è che l’uno tende di più verso la Russia, l’altra verso l’Europa.
Ma questo tutto sommato si sapeva. Torniamo al punto di partenza: Internet. La rete ha davvero pesato, nella chiamata alla piazza? Sebbene le componenti hardware siano evidenti (la voglia di cambiare rotta, la collera verso Yanukovich, la battaglia culturale tra le anime del paese e non da ultimo il traballante scenario economico), il fattore software delle manifestazioni di Kiev non va sottovalutato. Per due motivi. Il primo è generazionale. Come ha annotato sul New York Times Oleh Kotsyuba, uno studioso di slavistica di Harvard, una buona fetta delle persone scese in piazza hanno un’età compresa tra i venti e i quarant’anni. È una generazione, ha spiegato l’intellettuale, che non risente dei retaggi della Guerra fredda e che è delusa dall’operato del duo arancione Yushchenko/Tymoshenko, manifestando al tempo stesso una stima bassissima dell’attuale presidente. Una generazione che vuole nuovi stimoli sociali e nuove prospettive, di respiro europeo e globale; che guarda poca tv – anche in Ucraina è il mezzo ancora più influente negli orientamenti della pubblica opinione – e che vive praticamente online. In questi giorni, questi ragazzi, dimostrando di essere tutt’altro che apatici, hanno trasformato le risorse della rete in armi taglienti, postando su Youtube i video delle cariche della polizia e producendo massicciamente post e tweet su Facebook e Twitter.
Proprio i social network fondati da Mark Zuckerberg e Jack Dorsey – ecco l’altro motivo – hanno avuto, a Kiev, la loro riscossa. Le statistiche dicono che i social più usati dagli ucraini sono VKontakte e Odnoklassniki, entrambi russi. Le recenti cronache suggerirebbero però che, a dispetto della minore diffusione rispetto a VKontakte e Odnoklassniki, sono stati visti dalla generazione cresciuta a pane e web come strumenti dotati di un più robusto potenziale mobilitante.
Oleh Kotsyuba ha riferito che è stato proprio un post su Facebook, firmato dal giornalista ucraino di origini afghane Mustafa Nayem, a scatenare la grande adunata del 21 novembre, quando 100mila persone si sono date appuntamento in piazza dell’Indipendenza, il più grande slargo di Kiev. Lo stesso dove si celebrò la rivoluzione arancione. Sin da quella sera, su Twitter, #euromaidan, hashtag puntualissimo che racchiude in sé il perché e il dove della protesta (maidan significa piazza), è diventato il vero logo della battaglia lanciata da una generazione che ha appena trovato il suo battesimo in politica. Posto che bisognerà vedere se tutta questa baldoria, più avanti, riuscirà a trovare sbocchi e a influenzare urne e palazzo.
Autore: Matteo Tacconi | Fonte: europaquotidiano.it