Mercoledì scorso la Grecia ha assunto ufficialmente la guida della presidenza dell’Unione europea in un momento cruciale visto che nei prossimi dodici mesi l’insieme delle istituzioni comunitarie cambieranno la loro composizione. In vista dei cambiamenti al Parlamento, in Commissione, in Consiglio le grandi manovre sono già avviate in tutta l’Europa.
Per la verità si è iniziato ieri con i due nuovi membri nel board della Banca centrale europea: con l’ingresso della Lettonia è infatti stato integrato nel consiglio direttivo il presidente della banca lettone Ilmars Rimsevics, mentre la vicepresidente della Bundebank Sabine Lautenschlager ha preso il posto di Jorg Asmussen, entrato a far parte del neonato governo Merkel. L’ingresso di questi due falchi, che andranno a sostenere le posizioni del potente presidente della Bundesbank Weidmann, è destinato a cambiare, seppure parzialmente, gli equilibri nella Bce chiamata nei prossimi mesi a scelte non facili anche alla luce dei rischi di deflazione.
Se è spettato alla Bce aprire le danze, si proseguirà con le elezioni europee del 24 e 25 maggio che cambieranno la fisionomia del parlamento europeo: i 751 eurodeputati che saranno eletti nelle prossime consultazioni dai cittadini europei dovranno entro luglio eleggere nel corso della loro prima sessione il presidente dell’Europarlamento.
Ma il terremoto delle cariche istituzionali europee non si ferma qui visto che si proseguirà con il presidente della Commissione. Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione europea dal 2004 che terminerà il proprio mandato il prossimo 31 ottobre, non sarà il solo a lasciare il proprio posto di comando in seno all’Unione. Infatti tutta la Commissione europea cambierà e così tra i 27 nuovi commissari occorrerà trovare anche un successore all’attuale capo della diplomazia comunitaria, l’inglese Catherine Ashton. Senza contare che i capi di stato e di governo dell’Ue dovranno mettersi d’accordo, questa volta all’unanimità, per trovare un successore al presidente del Consiglio europeo, il belga Herman van Rompuy, il cui mandato scade il prossimo 30 novembre.
Al riguardo sono già iniziate, neppure troppo sotterranee, le contrattazioni tra le grandi formazioni politiche paneuropee in una sorta di grande suk; anche se spetta in ogni caso ai capi di stato e di governo designare il presidente della Commissione europea. Tuttavia il trattato di Lisbona, stavolta, potrebbe indurre ad abbandonare le tradizionali consuetudini. Infatti in base al trattato i capi di stato e di governo sono invitati a tener conto del risultato del voto delle consultazioni europee per designare il loro candidato alla presidenza della Commissione Ue. Non esiste però un vincolo che impone ai capi di stato di seguire questa indicazione e molti di loro non intendono lasciarsi imporre quello che sarà un loro interlocutore da altri.
Occorre però tener presente che il successore di Barroso, se anche investito dai capi di stato e di governo, dovrà in ogni caso ricevere il voto favorevole del nuovo Parlamento, ovvero dei 751 eurodeputati eletti nelle consultazioni europee. Non sfugge il cortocircuito che rischia di creare più di una tensione nei prossimi mesi, se non nel semestre di presidenza greco in quello di presidenza italiano che inizierà a luglio.
Senza il via libera dell’emiciclo la nomina del presidente della Commissione europea non sarà convalidata. E anche i 27 commissari dovranno passare davanti agli eurodeputati al punto che le audizioni potrebbero durare fino alla fine di ottobre.
È qui che entrano in gioco le alchimie comunitarie e i sottili equilibri che stavolta potrebbero infrangersi contro le aspettative degli europei. Proprio gli eurocittadini, seppure con sensibili differenze tra nord e sud, hanno vissuto con tensione crescente questi anni di crisi. Per questo il nuovo esecutivo europeo sarà chiamato a un compito tutt’altro che semplice: da un lato dare finalmente nuovo impulso alla crescita e, contemporaneamente, spingere verso una reale integrazione economica e fiscale prima ancora che politica che pure con un sussulto di dignità ha chiesto il presidente francese François Hollande.
Per le elezioni europee le grandi famiglie politiche hanno deciso di dotarsi di teste di serie che dovranno sostituire Barroso: e così se i socialisti e i socialdemocratici europei hanno designato l’attuale presidente del parlamento europeo Martin Schulz (anche se potrebbe all’ultimo essere sostituito dalla danese Thorning-Schmidt perché inviso alla cancelliera Merkel), i liberali dovranno scegliere il primo febbraio il loro candidato tra l’ex presidente belga Guy Verhofstadt e l’attuale commissario agli affari economici il finlandese Olli Rehn.
Una scelta di rigore quest’ultima che potrebbe scontrarsi con il candidato dei conservatori e democratici cristiani del Ppe che a marzo in Irlanda in occasione del loro congresso sceglieranno con ogni probabilità tra l’attuale commissario ai servizi finanziari il francese Michel Barnier e l’ex premier del Lussemburgo Jean-Claude Juncker per anni presidente dell’Eurogruppo. Ma i giochi non sono ancora fatti e a sperare di entrare nella rosa dei candidati ci sono anche il polacco Tusk e l’irlandese Enda Kenny.
Occorrerà vedere se si riuscirà a trovare un buon compromesso in tempi brevi e contemporaneamente attendere i risultati delle consultazioni di maggio, ma non c’è dubbio che anche sul piano dei sottili equilibri tra grandi e piccoli paesi, tra nord e sud, tra est e ovest la presidenza di turno italiana sarà quanto mai decisiva. Gli italiani non da oggi sono bravi a mediare tra gli isterismi comunitari e le prove di forza dell’asse Parigi-Berlino e con il premier Letta hanno dato prova di rappresentare garanzia per tutti di equilibrio.
Autore: Raffella Cascioli | Fonte: europaquotidiano.it