Il 2013 è stato l’anno che ha portato a galla i nuovi poveri, quella classe che con un termine dal sapore ottocentesco potremo definire borghesia e che ora si ritrova con gli abiti dei bei tempi passati a pranzare nelle mense della Caritas.
E’ stato l’anno delle iscrizioni in calo nelle Università italiane e dell’aumentare dei cosiddetti “cervelli in fuga”, (definizione che detesto, come se quelli che restano fossero tutti degli idioti…) verso altri paesi Europei e oltreoceano.
E’ stato l’anno di Beppe Grillo che pur rappresentando in pieno il voto di protesta ha alimentato più uno tsunami senza il piano di ricostruzione che altro.
È stato l’ anno delle larghe intese in cui destra e sinistra sembrano assumere un unico colore e ci si chiede chi appartenga a chi e a cosa.
E’ stato l’anno dell’assenza di cultura politica, di rimpasti, della nascita di nuovi partiti che siedono in Parlamento senza che nessuno li abbia votati.
È stato l’anno dei franchi tiratori, del delinearsi di una repubblica presidenziale, di uno scacchiere politico manovrato da uno solo.
È stato l’anno in cui tutti gli esponenti dei partiti politici hanno parlato di lavoro senza mai presentare proposte concrete, mentre d’altro canto la disoccupazione aumenta e con essa la sfiducia.
È stato l’ anno dei talk show, della politica pop che si è devoluta in qualcosa fra il trash ed il kitch, dei grillini sui tetti e dei giaguari, dei pollai trasmessi in prima serata dove si è parlato di tutto e di niente.
È stato l’anno della crisi della democrazia rappresentativa e della democrazia del pubblico.
E’ stato l’anno in cui la Chiesa, a differenza della politica, ha trovato la sua forza in un leader carismatico, un uomo che rinuncia ad essere chiamato Papa ma vescovo, che prende il nome di uno dei personaggi più amati e più rappresentativi del cristianesimo: Francesco , e che Il Times ha proclamato ” The Man of the Year.” Un Papa che sa comunicare, che suscita emozione, che si presta a farsi fotografare con i ragazzi in modalità autoscatto.
Chi invece ha rinnovato la politica italiana?
Cambiamento che parola usata, abusata.
Eppure è proprio questo che vogliono gli italiani. Il cambiamento e la fiducia. La speranza senza cambiamento non esiste. Il cambiamento senza azioni concrete e persone in carne ed ossa non si può attuare.
La politica stessa non potrebbe esistere senza la partecipazione dei cittadini. E’ stato l’anno dei leoni da tastiera, dell’entusiasmo esasperato della rete, dei social network.
Ma la più bella rete sociale sono e resteranno sempre le piazze. Quelle della città, dei paesi, della gente che si incontra per un caffè e discute, parla, si arrabbia, si lamenta, si confronta e riesce ancora, almeno un po’, a sognare.
La politica nel 2014 deve occuparsi semplicemente di tutto ciò che richiama nella sua stessa etimologia “la Polis”.
La città, la gente, la comunità.
Senza più tempo da perdere.
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