17/02/2014 – “C’è del nuovo e c’è del bello. Ma il bello non è nuovo e il nuovo non è bello”. L’ironico giudizio dato da Gioacchino Rossini all’opera prima di un giovane musicista mi è venuto in mente ascoltando le proposte sul Senato che (forse) verrà, presentate da Matteo Renzi alla direzione nazionale del PD: una Camera delle Autonomie nella quale siano membri di diritto i presidenti di regione, delle province autonome di Trento e Bolzano e i sindaci capoluogo, integrata da 20 senatori di nomina presidenziale per dare voce e spazio al meglio della “società civile”. 150 persone, non stipendiate e titolari del potere legislativo in una complessa gamma di materie, che spazia dalla revisione costituzionale alla legge di stabilità, dalla legge comunitaria alle materie concorrenti Stato-regione, fino a giungere al concorso nell’elezione degli organi di garanzia, a partire dal presidente della Repubblica.
L’idea del Senato “territoriale” non è nuova nel dibattito politico italiano e trova parecchi esempi in chiave comparata, anche se con una notevole variabilità di soluzioni. Per meglio inquadrare la proposta di Renzi è pertanto utile gettare lo sguardo sui modelli di bicameralismo a noi più vicini. Nella tabella ho schedato sommariamente competenza e funzioni di tutte le seconde camere dei paesi dell’area Euro, integrando con i due paesi dell’Unione con maggior numero di abitanti (Regno Unito e Polonia).
Nei casi considerati 7 hanno una composizione basata su una qualche forma di rappresentanza territoriale e solo in 4 il corpo elettorale viene coinvolto nell’elezione dei senatori (nel caso Polacco la totalità è eletta direttamente). E’ interessante notare come sia piuttosto diffuso il principio della nomina da parte di un potere terzo: è rilevante il modello del Bundesrat tedesco, i cui 69 membri sono indicati dai 16 governi regionali, verso i quali hanno un rapporto di mandato vincolante nella loro azione parlamentare. In nessun caso però esiste la previsione di una rappresentanza diretta dei governi locali nella Camera territoriale, pertanto il modello renziano in questo rappresenta, indubitabilmente, una novità assoluta.
Passando alle aree di competenza, la tabella ne elenca 5 principali: concedere e revocare la fiducia al governo; funzione legislativa; inchiesta e controllo sull’esecutivo; bilancio e revisione costituzionale. Con l’eccezione del Senato italiano, nessun’altra Camera Alta è titolare della funzione fiduciaria, quindi l’ipotesi di limitare alla sola Camera dei Deputati la responsabilità di insediare e revocare i governi è certo non solo ipotesi di buonsenso, ma anche in linea con tutti i modelli europei.
Per il resto, quasi tutte le seconde camere hanno una qualche competenza legislativa, in taluni casi molto marcata, in altre più sfumata, essenzialmente con un ruolo di revisione o sospensione, ma sempre riconoscendo una sorta di diritto all’ultima parola della camera politicamente più rappresentativa. In tutti i casi considerati, inoltre, esiste una partecipazione alla definizione delle leggi di bilancio nonché alle funzioni di controllo e garanzia e tutte le seconde camere (con l’eccezione del Consiglio Nazionale Sloveno) sono coinvolte nel processo di revisione costituzionale, spesso in condizione di parità con la prima Camera.
La proposta di Matteo Renzi, dunque non presenta eccessive novità in relazione alle competenze da attribuire al nuovo Senato, che pur privato della funzione fiduciaria, avrebbe comunque un ruolo centrale in tutte le altre aree. Si tratterà di una seconda camera molto forte, ben lontana dal ventilato passaggio a un sistema monocamerale o quasi monocamerale (come nei fatti sono il modello britannico o sloveno) e quindi è opportuno ritornare sull’altro aspetto centrale della proposta: la sua composizione.
Come si accennava, un Senato “nominato” non è una novità. Quello che è innovativo è la presenza diretta di personalità che ricoprono anche ulteriori incarichi istituzionali di rilevante impegno politico. Ed è questo l’aspetto che si presta a maggiori critiche nella proposta renziana. Nel riformare un’istituzione che è parte integrante di una più complessa architettura costituzionale, prima di porsi la domanda “quanto costa” o “chi ne farà parte” la questione centrale deve essere “a cosa serve” (e in questo ne sanno qualcosa nel Regno Unito, incartati da 15 anni in una impossibile riforma della House of Lords). Si può replicare che – dal punto delle competenze – la questione è chiara: il nuovo Senato avrà molte delle funzioni di quello attuale, ma non una base di legittimazione diretta.
Sarà una Camera potente, di grande rilevanza e quindi ipotizzare che venga composta quasi interamente da sindaci e presidenti di regione è una ingenuità, buona forse per vincere la battaglia mediatica, ma incapace di reggere a una riflessione più seria. Perché il punto è: ci possiamo permettere un Senato “legiferante” i cui membri ricoprono un altro incarico che li impegna pienamente? Quando troveranno il tempo di fare i senatori? Nei weekend? Oppure – in alternativa – se il Senato lavorerà sul serio, con commissioni impegnate ad approfondire le molte tematiche che ne riempiranno l’agenda politica, chi amministrerà le città e le regioni?
La membership del nuovo Senato è quindi il punto debole del “novitismo costituzionale” renziano, non tanto le competenze. Anche perché – a integrazione dell’analisi – ci si potrebbe chiedere quanto sia utile a rilegittimare la rappresentanza politica l’affiancare a una camera eletta con un meccanismo barocco e le liste bloccate (quale quello dell’Italicum) una seconda camera composta in parte da membri forzatamente assenteisti e in parte da membri nominati, non si sa su quali criteri e con quali basi.
Autore: Marco Cucchini | Un ringraziamento a Stefan Cok per il supporto dato alla comprensione della Costituzione Slovena (C) Poli@rchia