26/02/2014 – Il dibattito politico su Twitter è un monologo a più voci, senza interazioni tra opinioni differenti.
Qual è il compito dell’opinione pubblica in un paese democratico?Criticare. Ma non è il diritto di mugugno rivendicato dai marinai genovesi, persino come controparte di una (minima) riduzione del salario. È il compito sociale di sottoporre ad un controllo competente le decisioni assunte da chi amministra. La chiave di volta della democrazia nei termini di Popper è la libertà di licenziare pacificamente chi ha governato commettendo degli errori. In Italia non ci si riesce da 70 anni e per questo ci devono pensare ancora i dispositivi di repressione personale, giudici, galere e rivoluzioni più o meno di velluto. Non è di per sé il meccanismo della rappresentanza parlamentare, ma il dibattito razionale a realizzare lo spirito della democrazia: divisione dei poteri, istituzioni, ruoli, delibere, incarichi, tornate elettorali, mozioni di fiducia (e sfiducia), non sono che l’epidermide della coscienza critica, delle sue virtù intellettuali e morali, la loro amplificazione proiettata sulla vita sociale.
Una delle mitologie più diffusa sulla Rete vuole che Internet agisca come un catalizzatore automatico di sviluppo, libertà e democrazia. L’ingenuità dei positivisti tecnologici è commovente. La saga si srotola attraverso una serie di racconti che vanno dall’utopia della democrazia diretta (sul modello ateniese) al pragmatismo dell’accesso illimitato all’informazione su qualunque argomento. Contro gli assunti che puntellano questa narrativa ottimistica sono insorte evidenze contrarie, sia dalla cronaca politica sia dall’analisi sociale – a partire dal populismo di Ross Perot e del suo progetto di democrazia disintermediata, fino alle indagini sulla filter bubble informativa di Eli Pariser. Le decisioni assunte per acclamazione popolare e la selezione delle notizie sul modello «il mondo che vorrei», invece che per approssimazione a come è fatto davvero, ricordano pericolosi leader con baffetti e baffoni (o, se preferite, con testoni pelati), piuttosto che una prospettiva di libertà individuale e di coscienza critica.
Ma esiste un ambito della Rete dove il dibattito razionale viene esautorato nel modo più sorprendente: Twitter. È difficile immaginare che gli altri social media godano di miglior salute. Se la descrizione di Pariser è corretta, Facebook impedisce a priori il contatto tra individui che hanno posizioni politiche divergenti, scardinando le condizioni stesse del dialogo prima che si possa produrre. Possiamo solo ripetere a turno le stesse cose, costruire un monologo a più voci. Su Twitter non esiste un software omologo a EdgeRank per regolare l’uniformità dei gusti e dei discorsi, quindi per raggiungere questo obiettivo si sono impegnati gli utenti del servizio in prima persona. Sembra che il monologo sia una vocazione dei social media, non una trovata tra le tante di Zuckerberg.
Come si sviluppa il dialogo su Twitter? Naturalmente attraverso le risposte ai messaggi degli altri, ma anche tramite i meccanismi di retweet, di mention e di aggiunta ai preferiti, che sono disponibili sulla piattaforma. Sono gli strumenti che permettono agli utenti non solo di replicare alla dichiarazione dell’interlocutore, ma anche di replicare ilpost originale per divulgarlo al proprio pubblico di follower. Nel 2010 l’Università dell’Indiana aveva già condotto uno studio su un campione di oltre 250 mila tweet scambiati da 45 mila utenti della piattaforma, estratti in un periodo di sei settimane a ridosso delle elezioni di medio termine per il Congresso. Il grafico riportato qui sotto riferisce la distribuzione dei retweet, e riassume a colpo d’occhio i risultati dell’indagine.