De Blasio, secondo me. Parla il capo della Communications Workers of America

De Blasio, secondo me. Parla il capo della Communications Workers of America

Democratic New York City mayoral candidate Bill de Blasio greets supporters at a campaign stop in New YorkWelcome to the transition. Porta questo nome, Transition NYC, l’intersogno politico che spalanca le porte della città a Bill de Blasio, nuovo sindaco di New York, il primo democratico dopo quasi vent’anni e il quarto italoamericano a guidare spasimo e torri della Grande Mela.

Transition, appunto. Transizione, tra Reaganismo post-New Deal e Clintonismo (la né conservatrice né liberale “terza via”, come la definirà Barack Obama nel suo libro The Audacity of Hope, parlando di deadlock ideologico – pag. 34). A partire dai canali di scolo, online, della metropolis – social network, newsletter, volontariato, engagement – per arrivare a scrivere, insieme a centinaia di newyorchesi (che hanno marciato verso City Hall) il cosiddetto Blueprint for Progress, cianotipo per il progresso.

De Blasio ha travolto il repubblicano Joseph Lotha poco dopo la chiusura dei seggi, frullando più del 73% dei voti. Segna, di fatto, un punto di interruzione netto e libero con la tradizione business-minded; toglie un po’ di dolore alla città di New York e supera perfino Obama: “A tutti i miei concittadini che sono degli immigrati senza documenti: questa città è casa vostra” ha detto, presentando il budget 2014: carte d’identità anche agli immigrati clandestini undocumented (essenziali, soprattutto se si vuol accedere liberamente al sistema sanitario), aumento del minimo salariale (da approvare in consiglio municipale dove le lobby hanno maggior potere), real estate a basso costo, asili e doposcuola pubblici garantiti, aumento delle tasse sui ricchi per sovvenzionare la costruzione di nuovi alloggi popolari.

La politica di Bill de Blasio si inserisce in quella che sociologi come Karl Mannheim indicano come “generazione politica” a 20 anni di intervallo: Baby Boomers (i nati tra la metà degli anni Quaranta e la metà dei Sessanta), la Generation X (Sessanta-Ottanta), i Millenials (dagli Ottanta al 2000).

Un manipolo di ex giovani che, nel tempo, sono diventanti o romantico-conservatori o liberal-razionalisti. I figli di Reagan contro i figli di Clinton, insomma; salvo scoprire che tendono/tendevano tutti a destra o altrove rispetto alla sinistra: anche con la crisi finanziaria, i democratici clintoniani hanno più volte espresso la volontà di non nazionalizzare le banche, di istituire un sistema sanitario single-player, di alzare le tasse come fatto in epoca pre-Reagan, di fermare gli accordi di negoziazione del libero scambio, per poi ricordarsi di lanciare una guerra contro la povertà. Parola d’ordine: regolare modestamente il capitalismo.

Mentre gli avversari reaganiani, il capitalismo, volevano de-regolarlo radicalmente.

L’arteria repubblicana ha preso a pulsare in maniera monotona con Rudolph W. Giuliani nel 1994, poi, negli ultimi dodici anni, è proseguita con Michael Bloomberg. Secondo Michael Barbaro e David W. Chen del New York Times, la fiammella de Blasio rappresenta “una delle vittorie più schiaccianti in un’elezione a sindaco, e consegna a de Blasio un inequivocabile mandato per mettere in pratica la sua agenda progressista”. L’ultraliberal de Blasio ha trasformato se stesso “da un poco-noto occupante di un oscuro ufficio nell’impetuosa voce della disillusione di New York” in 109esimo sindaco, padre di tutti i Millenials di Manhattan, a dimostrazione che i democratici di New York sono molto più democratici di quelli sparsi per la nazione. Secondo Andrew Cuomo, governatore dello Stato, “si tratta di una vittoria della città, perché la vita e la famiglia di de Blasio riassumono, condensano New York”.

Vale lo stesso per il suo incarico di difensore civico? Mark J. Green, first NYC public advocate, ritiene che gli ultimi quattro anni di lavoro di de Blasio abbiano sottoperformato e siano stati controproducenti: “Che cosa ha fatto di così rilevante per i ‘senza diritti’ – si domanda l’ex candidato democratico alla poltrona di sindaco di New York 2001 – a parte sfilare in cortei per la propria campagna elettorale?”. Più riconoscente si dimostra invece David Birdsell, preside del Baruch College School of Public Affairs, che ha una visione più aperta sull’attività legale di de Blasio. “Credo abbia fatto il meglio che poteva con uno straordinario senso manageriale e pratico” ha detto. Di certo, le battaglie passate del sindaco eletto lo hanno messo in buona luce sotto il profilo pubblico: c’è stata la campagna contro la decisione della Citizens United Supreme Court, che gli ha permesso di usare il report finale per mettere sotto pressione le imprese finanziarie, per costringerle a rendere nota la scelta di non impegnarsi in una spesa diretta verso le sovvenzioni politiche; ci sono stati i bracci di ferro cittadini, dall’ipotesi di rendere equilibrate le leggi e l’accesso alle informazioni alle minacce di moratoria sulla chiusura delle scuole pubbliche; poi è arrivato il supporto alla rabbia e alle proteste di Occupy Wall Street. Di recente de Blasio si è anche occupato della chiusura del Long Island College Hospital a Brooklyn, innescando una protesta bollata dalle autorità come disordine pubblico. L’ufficio di de Blasio, sino al 2010, ha contato oltre 4mila commissioni legate al 311, il call center per la pubblica amministrazione.

Il gigante buono (per via dell’altezza da cestista, 1 metro e 96), l’italiano dalla rabbia giovane (per le sue posizioni radicali), la famiglia multirazziale, la lotta per restituire una luce propria alla working-class, spazzata via, o quasi, dal paperone Bloomberg che ha immaginato una Kingston Falls dantesca per soli milionari: Mr. de Blasio, 52 anni, è il simbolo odierno di New York, ed uno dei suoi primi incarichi sarà quello di mettere a posto le schegge sparse del contratto di lavoro; si cerca ancora di bilanciare un accordo con i sindacati, rigidissimi. Ha supportato il primo sindaco afro-americano di New York, David Dinkins, ha conosciuto il sistema politico di Hillary Clinton e del Senato dall’interno, e interpretato con rigore il cambiamento demografico-culturale della città, ormai solo per un terzo popolata da bianchi (i repubblicani non se ne sono accorti).

“My fellow New Yorkers, today, you spoke out loudly and clearly for a new direction for our city” aveva dichiarato de Blasio in occasione del party celebrativo di Park Slope, Brooklyn. Sembra davvero il racconto di due città diverse che si spezzano, che deflagrano, prima su un braccio poi sull’altro, e inchiodano la verità al torace di una neo-piantina a china, molto più forte, senza portantino, dentro una telenovela repubblicana che ha riso e mangiato come un toro à rebours, lungo la linea del tempo, da Roe contro Wade, la sentenza della Corte Suprema del’73 sull’aborto, al rigurgito della Tolleranza Zero. Fine della diseguaglianza, tattica politica più aggressiva e acerba, più tasse per i ricchi. “Quando vedo de Blasio, scorgo una luce brillare in fondo al tunnel” dichiara Darrian Smith, un uomo di 48 anni che lavora come custode in una scuola pubblica a Brownsville, Brooklyn. Joe Kopita, consulente dell’educazione nel Greenwich Village, definisce de Blasio “la migliore speranza per il rallentamento della crescita del real estate lussuoso che sta falciando via o rendendo inaccessibili interi distretti e quartieri di New York”. “I liberali non sono morti a New York” ha fatto sapere al New York Times John Mollenkopf, direttore del Center of Urban Research presso la City University di New York.

L’avversario sconfitto, Lotha, prosegue con la convinzione che la vittoria di “de Basio-il socialista” dia ben presto la stura all’aumento di criminalità in città. Peccato abbia raccolto solo 3,4 milioni di dollari con la sua campagna politica, circa un terzo del totale finito nelle tasche del team democratico. Secondo Lotha, c’è da smontare il campionario freak di de Blasio, e allora ricorda a New York che ha scelto un sindaco comunista, o magari sandinista (sul tema, c’è il ritratto al lisoformio della columnist Anastasia O’Grady, mentre rievoca le simpatie marxiste di Bill e il periodo trascorso nel Nicaragua governato dai sandinisti), mette in allarme broker e banchieri di Wall Street (“…l’establishment capitalistico crollerà”) e frulla: garanzia di salari più alti per tutti i settori economici che godono di appalti da parte dell’amministrazione pubblica, la disfatta degli interessi immobiliari, un nuovo modello di retribuzione minima, l’avanguardia dell’amore (Chirlane McCray si è autodefinita lesbica, una donna dal passato omosessuale, prima di sposare de Blasio, ed è membro dell’organizzazione black femminista lesbica Combahee River Collection). Anche un opinionista progressista come Bill Keller parla di de Blasio con timore sul fronte management (“potrebbe soffrire di inesperienza”), poi però rammenta che oltre 50.000 newyorchesi si trovano, nell’immediato, al di sotto della zona massima di povertà, con shelter/rifugi sempre più popolati. Il manubrio della bicicletta Bloomberg si è piegato a sinistra quando si è trattato di investire sul verde e sulle campagna salutiste, quando è occorso un pugno serrato alla mobilitazione contro la lobby della National Rifle Association, ma non ha avuto percezione di dove la porzione di torta urbana, sfatta, stesse colando.

La direzione, direction, come sottolinea de Blasio, è quella che New York deve recuperare, ora. Se a questo aggiungiamo la lotta al razzismo “stop and frisk” NYPD, il battage pubblicitario dove appare persino la drag legend Lady Bunny, la radice forte con il suo paese d’origine, Sant’Agata dei Goti, allora de Blasio ha tutto il diritto di espugnare l’ex roccaforte miliardaria di Bloomberg e limitare la forbice che separa ricchi da poveri, dentro e fuori, mentre il partito repubblicano dovrà prendere in considerazione – in vista delle presidenziali del 2016 – l’ipotesi di ripartire da Chris Christie, rieletto governatore del New Jersey, anche lui italoamericano. Intanto, come titola il New York Post, “Back to USSR”, con de Blasio.

Robert (Bob) Master è a capo della CWACommunications Workers of America. Ha deciso di fiancheggiare il neosindaco di New York, Bill de Blasio, convinto che sia “un amico”, una persona dalla parte dei lavoratori e delle classi più deboli. Il suo endersoment è valso lo sdoganamento di molte categorie di lavoratori e sindacati indecisi. Prima della vittoria. A noi ha spiegato perché.
Bob Master, chi è per lei Bill de Blasio?

La candidatura a sindaco di New York e la campagna elettorale di Bill de Blasio rappresentano un incredibile punto di rottura rispetto a quelle che sono state le idee politiche dominanti, la governance e l’economia americana degli ultimi decenni. De Blasio ha sfidato il sistema mettendo in dubbio alcune nozioni: ad esempio, si è interrogato su quanto il ruolo primario del governo nell’economia possa davvero essere quello di tagliare le tasse al fine di produrre un motore di business più salutare e deregolamentato; così come un sistema che attacca i sindacati per dirigere le sue politiche verso nuove prospettive di business e spera che, appoggiandosi a queste basi, anche la working class e i ceti più poveri riescano a trarne benefici. La crisi economica 2008-09 ha dimostrato che queste ideologie neo-liberal sono economicamente (e moralmente) destinate a fallire, puntando il riflettore sulla vasta disparità che si è creata negli Stati Uniti in tempi recenti. Il movimento Occupy Wall Street, con la sua ‘retorica’ del 99% contro l’1%, ha tracciato un solco nel dialogo politico americano. De Blasio ha compreso che i cittadini di New York erano e sono arrabbiati per la disuguaglianza e gli eccessi di Wall Street, ha così fatto dell’attacco a questi problemi il motore della sua campagna. Ha esplicitamente proposto che le politiche di implemento del governo della città di New York fossero disegnate per risollevare gli standard di quel 99%, oltre ad attaccare l’ineguaglianza avallata negli ultimi 40 anni con effetto a cascata.

In che modo la campagna elettorale di de Blasio si è avvicinata a quella della CWA District 1?
CWA, Communications Workers of America, ha avuto una lunga e stretta collaborazione con de Blasio, dai suoi giorni in qualità di membro del City Council fino agli anni da public advocate. Ci siamo profondamente impegnati per dar vita ad un’ampia agenda di cambiamento verso il progresso; crediamo che, in aggiunta alle battaglie per le cause immediate che riguardano i nostri membri, l’intero lavoro possa interessare l’intera stratificazione della working class. Siamo convinti che il movimento dei lavoratori americani possa modificare il proprio declino se si sviluppa una nuova era di progresso politico. Così, abbiamo sempre visto de Blasio come un amico, e abbiamo accolto e supportato il suo messaggio perché autore di un cambiamento radicale. Non lui soltanto, naturalmente, il trend è proseguito con la candidatura di Elizabeth Warren in Massachussetts e la crescita della resistenza politica dei finanziatori come Larry Summers. Abbiamo tutti visto de Blasio come qualcuno che, una volta in servizio, sarebbe stato un combattente genuino, dalla parte dei newyorchesi più poveri e dei lavoratori.

E il suo rapporto con i sindacati e le iniziative pro-working class com’è stato?

De Blasio ha sempre appoggiato al 100% i nostri sforzi e le nostre cause, come la campagna dedicata all’organizzazione dei lavoratori di Cablevision a Brooklyn, e ha parlato ai nostri rallies per i lavoratori di Verizon quando erano in sciopero nel 2011. Inoltre, in veste di public advocate, de Blasio si è battuto per garantire ai workers di New York un minimo di cinque Paid Sick Days all’anno. E ha cercato con ogni sforzo di impedire che l’ex sindaco Bloomberg ottenesse un prolungamento di mandato per altri 4 anni.

Lei e la sua associazione siete soddisfatti del suo operato?
Siamo convinti che abbia svolto un lavoro fantastico come public advocate.

Crede ci sia una somiglianza tra de Blasio e Roosevelt?

Nel 1936, Franklin D.Roosevelt disse, “Se io fossi stato un uomo che lavorava in fabbrica, allora avrei aderito ad un sindacato”. Questa frase ha ispirato le coscienze di molti workers nel Paese, e ha portato all’istituzione del moderno US labor movement del 1937. Roosevelt ha usato il governo per aiutare i poveri e le classi di lavoratori non protette, durante un’epoca difficile. De Blasio non può ancora essere paragonato a Roosevelt, dopotutto Roosevelt ha promosso il piano di riforme economiche e sociali, New Deal, nel momento della grande depressione. La più grande trasformazione del governo americano dalla Guerra Civile in poi. Però, certo, per il suo impegno nel tassare i ricchi al fine di agevolare il pagamento della pre-school e dell’after-school dei genitori di tutti i bambini di New York, per il suo supporto ai tentativi di organizzare categorie di lavoratori sottopagati come quelli di Fast Food, per il voler estendere i giorni di malattia pagati, il suo programma ricorda proprio l’approccio politico di Roosevelt. Io sono dell’idea che de Blasio rappresenti un’importante e possibile punto di rottura con l’era politica neoliberal degli ultimi 30 anni, nello stesso modo in cui FDR ruppe con la Gilded Age, l’età delle grandi speculazioni finanziarie. Nessuno può predire il futuro, ma l’elezione di de Blasio è senza dubbio uno degli sviluppi politici più sorprendenti del Paese da molti, molti anni a questa parte. C’è speranza.

Autore: Filippo Brunamonti | Fonte: huffingtonpost.it

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