26/03/2013 – Lavoro, tagli alla spesa pubblica, abbattimento della burocrazia. Questi i temi sul tavolo del neo presidente del Consiglio Matteo Renzi. Sicuramente, nel breve termine, tali argomenti rivestono grande importanza ma, tuttavia nel lungo periodo sono altre le questioni a cui bisogna porre l’accento, onde evitare un notevole impatto sulle prossime generazioni.
Uno dei problemi fondamentali è rappresentato dall’influenza/ingerenza delle tecnologie sul mercato occupazionale. Già nel 1995, il saggista Jeremy Rifkin aveva profetizzato, “la fine del lavoro“, evidenziando in particolar modo come le tecnologie labor saving avrebbero sostituito i lavoratori.
Andrew Macfee ed Erik Bryonjolfsson, nel loro ultimo lavoro The second machine age: work , progress and prosperity in a time of brilliant technologies, hanno affrontato in maniera puntuale ed esaustiva i diversi vantaggi e svantaggi che si celano dietro l’uso delle tecnologie. In particolare, i due autori sostengono che la crescita esponenziale delle tecnologie aumenterà inevitabilmente il numero di mestieri inglobati dall’automazione. È difficile stabilire con precisione quali impieghi verranno sostituti, ma sicuramente saranno spazzati via quei lavori in cui la macchina detiene un grande vantaggio comparato.
Potrebbero scomparire lavori nel campo della consulenza aziendale, nell’analisi finanziaria, ma soprattutto nelle fabbriche. Non sarà un nuovo luddismo, bensì un cambio di paradigma. Basta guardare a cosa accade in America per capire il cambiamento che sta avvenendo. Gli Stati Uniti sono passati da una economia basata prevalentemente sulla produzione di beni materiali ad una basata sulla conoscenza e l’innovazione e, la Silicon Valley ne è la dimostrazione.
La rapida ascesa dell’information technology ed in particolare della datizzazione, hanno aperto innumerevoli opportunità, nonché rischi connessi alla protezione della del know howda parte delle imprese, soprattutto piccole e medie. Da un lato le opportunità riguardano il mondo del lavoro ed in particolare, alcune ricerche, sostengono come un impiego nell’hi-tech sia capace di generare 5 lavori in altri settori. Dall’altro lato, gli svantaggi riguardano gli innumerevoli attacchi cyber volti all’appropriazione di know how delle aziende, come sottolineato in un recente documento del Dipartimento Informazione e Sicurezza (DIS).
L’Italia purtroppo, oltre a subire una pesantissima recessione, non riesce a sviluppare una politica industriale che abbia come elemento costituente l’innovazione e dunque il capitale umano. L’innovazione si crea attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, che rappresentano un costo fisso e pertanto insostenibile per la moltitudine di piccole e medie imprese presenti sul territorio nazionale. Oltre alla mancanza di investimenti in Ricerca e sviluppo, il bel Paese detiene una percentuale molto bassa di laureati tra i 30-34 anni, rispetto alla media Ocse. Senza giovani laureati non verrà generata quella spirale virtuosa basata sulla ricerca e la conoscenza in grado di limitare i danni derivanti dall’imperante avanzata delle tecnologie. Dunque, senza una netta inversione assisteremo inevitabilmente alla continua e persistente avanzata della disoccupazione, che spazzerà via sempre più lavoratori a bassa qualifica.
Pertanto è assolutamente indispensabile aumentare i fondi destinati alla ricerca e sviluppo. Attraverso questo percorso sarà possibile creare distretti industriali fondati sull’eccellenza e l’innovazione accanto alle università, generando un flusso crescente e costante di nuove idee, limitando al contempo la fuga dei nostri cervelli che continuano ad arricchire di idee la pletora di aziende estere. Non possiamo attendere altro tempo. Le tecnologie, come abbiamo visto, avanzano mangiando manodopera e competenze. L’unico modo per tener testa all’avanzata delle tecnologie è attraverso la ridefinizione di un nuovo contratto sociale che abbia come sottostante la valorizzazione delle abilità umane. Nel novecento la competizione gravitava intorno all’accumulo di capitale fisico. Oggi si gioca invece intorno alla capacità di attrarre e sviluppare il miglior capitale umano.
Solo attraverso il ritorno ad una centralità dell’individuo, come creatore di ricchezza e valore, la società potrà affrontare al meglio sfide ed opportunità del futuro.
Autore: Marco Franco | Fonte: huffingtonpost.it