Che la campagna elettorale in corso per il rinnovo del parlamento europeo non sia ancora riuscita a scaldare gli animi degli italiani è testimoniato non solo dall’elevato numero di coloro che si dichiarano intenzionati a disertare i seggi il 25 maggio ma anche da un tono complessivamente dimesso nella conversazione realizzata sulla piattaforma di Twitter. Con la parziale eccezione delle discussioni che hanno come oggetto i leader delle principali forze in campo (Renzi, Grillo e Berlusconi), non si registra un’analoga vivacità conversazionale intorno alle parole d’ordine (“ce lo chiedi tu”, “insieme”, “vinceremo noi”, etc.) che dovrebbero mobilitare gli elettori né, tantomeno, intorno ai numerosi candidati che aspirano a un seggio a Bruxelles.
In modo abbastanza paradossale, questo relativo disinteresse per la campagna si manifesta in presenza di un sistema elettorale che prevede il voto di preferenza e di un consistente numero di candidati che dispongono di un account personale su Twitter. Prima di riflettere su ciò che non funziona, o funziona poco, in questa campagna giocata dai candidati su Twitter è necessario fornire alcune coordinate di base.
Il primo dato utile è quello relativo alla presenza dei candidati: ebbene, su 930 candidati – che si riducono a 829 escludendo le candidature multiple – ben 543 (pari al 65,6%) dispongono di un account Twitter. Un dato di tutto rispetto che testimonia una diffusa consapevolezza circa la centralità della piattaforma. Nota dolente, tuttavia, è quella che fa riferimento alla declinazione della piattaforma in termini di genere, decisamente ancora maschile: 63,4% di candidati uomini vs 36,6% di candidate donne.
Per quel che riguarda l’appartenenza politica, il primato spetta al M5S (con tutti i candidati su Twitter) seguito da vicino dal Pd (68) e da Forza Italia (67). Si tratta di dati che, da un lato, confermano propensioni e identità già note – come nel caso del M5S e del Pd – dall’altro, indicano significative trasformazioni, quantomeno sul fronte comunicativo, rispetto al passato – come nel caso di Forza Italia. Va segnalata, ancora, l’inattesa involuzione tecnologica dell’Idv, un tempo all’avanguardia nell’adozione delle tecnologie della comunicazione e oggi fanalino di coda.
Sempre sul fronte dei dati strutturali, è interessante prestare attenzione alla variabile temporale ovvero alla data di nascita dell’account. Come è facilmente intuibile, questa informazione permette di capire quanto l’account sia frutto di una strategia elettorale e quanto, invece, costituisca un tassello tecnologico dell’identità del candidato.
Ebbene, i cosiddetti “account elettorali” – vale a dire quelli aperti nei mesi di aprile e maggio – sono il 17,9% del totale. Ancora nel 2014, sia pure nei primi mesi, risultano essere stati aperti 38 account, pari al 7%. Negli anni precedenti (a partire dal 2007), invece, con una punta nel 2012, sono stati aperti tutti gli altri account. Uno sguardo all’appartenenza politica dei new comer e delle avanguardie consente di individuare dati interessanti. Così, per esempio, i primi ad arrivare su Twitter tra i soggetti che si candidano oggi al parlamento europeo sono stati gli esponenti del Pd e non del M5S così come ci si poteva aspettare alla luce della centralità da loro attribuita al web.
Oltre a registrare un numero consistente di account nati negli ultimi mesi, è possibile individuare forme di inattività (ovvero nessun tweet pubblicato) e network relazionali di dimensioni contenute. Per quel che riguarda l’attivismo dell’account, va segnalato che il 4,1% dei candidati non ha mai pubblicato un tweet da quando è approdato sulla piattaforma fino al 14 maggio (ultimo giorno di rilevazione).
Per converso, il 10,9% dei soggetti ha pubblicato oltre 3000 tweet. Al di là di questi casi estremi – da un lato, soggetti alla prima esperienza politico-elettorale, dall’altro, incumbent o personaggi politici di rilievo nazionale – vale la pena segnalare che il valore della mediana della distribuzione si attesta su 273 tweet, un valore decisamente contenuto che testimonia un modesto investimento nella piattaforma. Sul fronte delle dimensioni del network – vale a dire il numero dei follower – il 43,8% dei candidati non supera il tetto dei 100 mentre solo il 6,8% ha un numero di follower che va oltre i 5000.
Contenuto attivismo e modesto numero di follower possono certamente essere considerate variabili connesse alla “giovinezza” dell’account, ancora in cerca di un posizionamento nella twittersfera. Detto ciò, tuttavia, vi è da chiedersi quale sia il valore aggiunto di Twitter nella strategia comunicativa del candidato.
Indubbiamente, esso può assolvere alla funzione di ascolto degli elettori ma non altrettanto si può dire sul fronte della presa di parola e della costruzione di una rete. Con la campagna elettorale ancora in corso non è possibile pervenire a giudizi definitivi: non vi sono ancora dati sui contenuti, sulle interazioni e sui ritorni in termini di aggregazione e mobilitazione. Inoltre, non è del tutto da escludere la nascita di altri account. Su tutti questi aspetti si tornerà dopo il 25. A partire dai dati disponibili sui 543 candidati che si sono riversati su Twitter si può, tuttavia, già da oggi confessare una sensazione di scontento e insoddisfazione per una campagna che ha deluso molte aspettative. L’esito di una “normalizzazione della twittersfera” – nell’accezione condivisa tra gli studiosi circa la riproposizione di assetti ed equilibri preesistenti – sembra essere il risultato della prima campagna elettorale giocata dai candidati su Twitter.
Insomma, la carica dei candidati che si è riversata su Twitter non verrà certo ricordata per l’impresa di aver dato vita alla prima campagna combattuta a colpi di tweet. Piuttosto, per aver certificato l’ingresso ufficiale di Twitter nel tool kit del bravo candidato.
autore: Sara Bentivegna@SaraBentivegna
(La raccolta delle TL dei candidati
è in collaborazione con h24.it)