La Poliarchia e i suoi nemici

La Poliarchia e i suoi nemici

14/07/2014 – Quando abbiamo ragionato su quale nome dare al nostro studio di consulenza politica la scelta è caduta sul termine “Poliarchia”, introdotto nel lessico politologico dal genio innovatore di Robert Dahl, da pochi mesi scomparso. Dahl utilizza “Poliarchia” in alternativa a “Democrazia” per una serie di buone ragioni sulle quali brevemente mi soffermo.

Il termine democrazia è oggetto da secoli di una serie di analisi, riflessioni e definizioni che non hanno condotto ad una univocità nel significato ad esso attribuito, dal momento che le diversità temporali, ideologiche e di approccio dei diversi autori hanno prodotto conclusioni teoriche assai diverse tra loro. Eppure per chi si occupa di politica non è possibile sottrarsi ad un tentativo definitorio, per quanto insoddisfacente, dato che – per citare Sartori – «definire la democrazia è importante perché stabilisce cosa ci aspettiamo da essa». Un esempio di come il concetto possa essere letto sotto sfaccettature diverse viene dalla “Prefazione alla Teoria Democratica” di Robert Dahl [1956]. Dahl evidenzia come non esista una sola accezione del termine democrazia, ma siano empiricamente descrivibili almeno tre diversi tipi: la democrazia madisoniana, la populista e la poliarchica.

Il concetto di democrazia madisoniana (riferimento alle origini del sistema politico degli Stati Uniti) rinvia a variabili di natura istituzionale, legate ai processi ed ai meccanismi di controllo, limitazione e separazione dei poteri propri dello stato liberale. L’architettura di check and balances ha come fine ultimo la prevenzione della “tirannide”, pertanto la responsabilità del mantenimento del sistema finisce per ricadere sul corretto funzionamento del reciproco controllo tra leaders, con una visione essenzialmente “elitaria” del processo democratico che – secondo Dahl – sopravvaluta il ruolo e la funzione dei meccanismi formali di limitazione costituzionale del potere.

Il modello della democrazia populista si presta a critiche ancora più nette, ponendo al centro i principi di piena uguaglianza politica e sovranità popolare, incarnati da una assoluta prevalenza del principio di maggioranza non letto come uno degli ingranaggi di un meccanismo costituzionale più complesso, bensì come stella polare dell’intero processo di decisione politica. La volontà della maggioranza è legge, ma questo avviene a scapito dei meccanismi di garanzia e tutela per le minoranze, sempre presenti in società complesse.

La democrazia poliarchica è concetto più articolato. Non solo meccanismi formali di separazione e controllo dei poteri e neppure il principio di maggioranza come criterio semiesclusivo di regolazione politica e sociale, ciò che determina la Poliarchia è l’esistenza di una articolazione plurale della società, retta da istituzioni politiche aperte e arricchita da corpi intermedi che ne rappresentano gli interessi, la complessità, le preferenze e che – interagendo tra loro e con gli organi del potere pubblico – contribuiscono a determinare le scelte politiche collettive. La poliarchia, per Dahl, è dunque un sistema nel quale esiste unacontinua capacità del governo di soddisfare le preferenze dei cittadini, in un quadro di uguaglianza politica, definizione sulla quale è utile qualche breve riflessione.

Punti cardine sono tre. Il governo poliarchico deve essere “efficiente” (costantemente “capace di soddisfare”), retto da consenso (“operare in base alle preferenze dei cittadini”) e istituzionalmente predisposto a recepire gli input dei governati (il “quadro di uguaglianza politica”). Se un sistema racchiude in se tutte e tre le colonne sulle quali la definizione si regge è certo inquadrabile come “democratico”, anche se il vero discrimine tra ciò che è democratico e ciò che non lo è sembra essere la terza caratteristica: l’uguaglianza politica, vale a dire la presenza di meccanismi istituzionalizzati volti a favorire e garantire l’inclusione dell’intera comunità politica nei processi di assunzione delle decisioni collettive.

Questo non significa che gli altri due aspetti ricoprano importanza secondaria, anzi. Efficienza e consenso sono altrettanti pilastri a sostegno di una democrazia, basti pensare ai diversi esempi di sistemi democratici crollati sotto il peso della propria inefficienza o di una congiuntura interna “antisistema”, che proprio i meccanismi intrinseci della democrazia non possono o non sanno arrestare. Ma va sottolineato che, per un tempo limitato, un sistema democratico può reggere anche in presenza di un diffuso scontento o di un bassa efficacia nelle performance governative, ma non può più definirsi tale in assenza di un livello seppur minimo di garanzie civili e politiche.

Nella discussione in queste ore sulla riforma del Senato ci sono spunti di riflessione utili per osservare la grande attualità dell’analisi di Dahl. Molte delle obiezioni mosse attorno al progetto di riforma nascono infatti da un approccio “madisoniano”, con i limiti che questo comporta… rallentare, discutere, troncare e sopire per mantenere “gli equilibri”. I check & balances sono giusti, ma non possono andare a scapito dell’efficienza complessiva del sistema e quindi affrontare laicamente i problemi costituzionali è doveroso. A questo si è aggiunto spesso (soprattutto da parte del governo) l’approccio “populista”: noi abbiamo vinto, noi abbiamo i voti, noi abbiamo preso il 41, noi abbiamo ragione e voi dovete tacere… Anche questo non funziona, tanto quanto non funziona l’approccio meramente madisoniano.

Manca l’approccio poliarchico e non è un caso. La Poliarchia è esigente, richiede centri di controllo ma anche centri di decisione chiari e sicuri. Richiede l’attivazione di un circuito di responsabilità tra eletti ed elettori. Richiede trasparenza, discussione aperta e scelte politiche chiare e verificabili. Insomma, il modello poliarchico – di cui non vi è traccia nel nuovo Senato – è un modello non preso seriamente in considerazione ne dai sostenitori, ne dagli avversatori della riforma… E’ questo il problema vero… la dicotomia tra il non far nulla e il far male.

Marco Cucchini | Poli@rchia (c)

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