Il web e il Medio Oriente

Il web e il Medio Oriente

22/07/2014 – Cito da uno dei testi di studio che ho adottato quest’anno. Mi riferisco a Tutti i Poteri del Presidente, di Bruce Ackerman, edito da Il Mulino: “il giornalismo reale è rimasto ben al di sotto degli ideali che professava, ma questo non significa che possiamo farne a meno. L’esistenza di un corpo di giornalisti professionisti è vitale per la blogsfera […] ma se collassano le basi economiche per questo tipo di giornalismo serio, le discussioni suo blog degenereranno fino a trasformarsi in un incubo postmoderno fatto di milioni di persone che dicono la loro a getto continuo senza alcuna cura per i fatti“.

Il bisogno di un giornalismo “serio e basato sui fatti” emerge di continuo e in particolare lo sento in queste ore, avendo sotto gli occhi l’ennesima mattanza tra Israele e i suoi molti nemici, originata da ragioni che ormai trascendono ogni umana comprensione. Giornalismo serio significa non superficiale e non aprioristicamente schierato. Certo, avere un’opinione è inevitabile, ma l’onestà intellettuale dovrebbe essere tale per cui a mutar le condizioni ne muta la lettura e il giudizio storico.

I principali quotidiani online, però, sembrano preferire la pioggia di dati e immagini avulse da una riflessione di prospettiva. Si vedono fuochi, si vedono morti, si vedono madri che piangono, miliziani che si agitano, soldati che gonfiano il petto. E quindi? Quindi su cosa basare un’opinione sensata sui fatti di queste ore?

Una cosa è certa: non la si basa sul web. Se si leggono le pagine Facebook o gli hashtag di Twitter dedicate alla tragedia in Medio Oriente o comunque della quale si discute si trova di tutto, tranne che la ragionevolezza… vignette, battute sceme, giudizi tranchant, sfottò, stupidaggini, apriorismi, complottismi, giudizi apocalittici. Il pensiero della “gente comune” è sconcertante per superficialità, arroganza e malafede e pensare che le scelte che riguardano il futuro dei Paesi siano in queste mani è duro da accettare.

E’ il classico dilemma della democrazia rappresentativa: le doti che sono richieste per vincere le elezioni non sono quelle utili per governare e le scelte degli elettori non sono qualitative, ma si basano su pregiudizi, supposizioni o sensazioni più umorali che razionali.

La democrazia non è ne qualitativa, ne selettiva. Però è irrinunciabile… E’ questa ordalia di sensazioni e di cattivi umori che ci fa andare avanti, malgrado tutto. Però – leggendo con quanta freddezza o crudeltà si giudica il terrore dei cittadini di Tel Aviv o il dolore delle madri di Gaza – verrebbe da dire “al Diavolo”. Ma non si può. Ci si volta dall’altra parte e si fa finta di nulla. Ancora una volta.

Marco Cucchini | Poli@archia (c)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *