04/09/2014 – Il referendum in programma nelle highland il 18 settembre, e quello catalano (in bilico) riaccendono ambizioni che sconvolgerebbero i confini dell’Unione per creare la Samogizia, il Nord Epiro e perfino l’Occitania.
No, non è una faccenda che riguarda solo la Scozia e la Catalogna. Vero: questi territori europei, insieme ai Paesi Baschi e alleFiandre, hanno una storia forse più consolidata di consapevolezza nazionale e autonomista. Tanto che a breve, il 18 settembre, gli scozzesi dovranno esprimersi nel referendum più importante della loro storia. Quello che deciderà se dovrannostaccarsi dalla Gran Bretagna e diventare così un Paese indipendente.
L’ultima fiammata vede appunto una rimonta degli indipendentisti. I sostenitori del norimarrebbero comunque in vantaggio ma di soli 6 punti sul sì: 47% contro 53% secondo un sondaggio YouGov per il Times. I contrari, tuttavia, erano il 61% solo all’inizio di agosto. Ma cosa cambierebbe se Yes Scotland ce la facesse e sulle affascinanti highland non sventolasse più la Union Jack?
La Gran Bretagna ne uscirebbe praticamente amputata, perdendo il 32% delle proprie terre ma solo l’8% della popolazione. Peggio andrebbe a livello economico, con oltre 11 miliardi di euro derivanti dall’industria turistica persi nel nulla (5,4 solo nel comparto del whiskey). Senza contare le stime sulle risorse petrolifere degli sceicchi del Nord: riserve che, secondo loScottish National Party, si aggirano intorno ai 1.190 miliardi di euro. Curiosamente, ne beneficerebbero le statistiche sull’aspettativa di vita: senza Glasgow, Dundee, Aberdeen & co. i britannici guadagnerebbero fra i 3,6 (donne) e 4,8 mesi (uomini) di vita.
Numeri e Scozia a parte, più dell’euroscetticismo gli appuntamenti delle urne a Edimburgo e, poco dopo, in Catalogna il 9 novembre prossimo (non ufficiale né autorizzato, ancora in bilico e anzi Artur Mas, presidente della Generalitat de Catalunya, frena in questi giorni le aspettative) rischiano di aprire un altro fronte che solo in parte si fonde all’antieuropeismo: quello appunto indipendentista.
Lo sapevate, per esempio, che sempre in Gran Bretagna anche laCornovaglia – che entrerà nel Consiglio d’Europa – punta all’indipendenza (anche se il suo partito di riferimento, Meybon Kernow, non supera l’1%)? Così come, restando oltremanica e dimenticandoci per un attimo dell’Ulster, esistono movimenti un po’ ovunque, dal Wessex al Northumberland passando ovviamente per il bilingue Galles sostenuta dal partito nazionalista Plaid Cymru.
Allargando lo sguardo al resto d’Europa, non c’è che l’imbarazzo della scelta: ne uscirebbe una mappa completamente stravolta se, per esempio, la Frisia si staccasse dall’Olanda ricongiungendosi al pezzo di territorio tedesco o Nizza e addirittura l’Occitania (cioè tutto il Sud della Francia) prendessero un’altra strada rispetto a Parigi.
Fantageografia? Mica tanto. Sono tutti territori in cui – certo con seguito e consenso differenti, dall’insignificanza alla maggioranza – sono attivi partiti, movimenti e gruppi che puntano a fortissimi statuti di autonomia. Se non appunto al distacco definitivo.
Non solo la Corsica, dove il movimento nazionalista, tornato nel vivo dagli anni Sessanta e spesso protagonista di un ottimo consenso elettorale oltre che di numerosi fatti di sangue, ci è più noto per contiguità e anche interesse storico. Oppure l’indipendentismo sardo, al contrario di quello còrso pacifico e ben radicato fra la popolazione dell’isola. Ma anche la più distante Samogizia in Lituania – dove da anni il movimento ha perso ogni slancio – o il land diSzekely, dove vivono i siculi di Romania. Gruppo etnico di origine ungherese stabilito in Transilvania con minoranze in Voivodina (Serbia).
Ancora: dalle minoranze greche in Nord Epiro, Albania (che una repubblica autonoma lo è pure stata, per tre mesi nel 1914) fino – tanto per riagganciarci alle tensioni di questi mesi in Ucraina e tenendo fuori il rompicapo russo nel Caucaso del Nord e altrove, vedi la stessa Kaliningrad dove qualcuno vorrebbe rifondare la Prussia attaccandosi ad alcune zone della Polonia del Nord – alla minoranza russofona in Lettonia, nella regione del Latgale. Dove il leader autonomista d’ispirazione bolscevica Vladimirs Lindermans, dai trascorsi al limite del terrorismo, soffia da anni sul fuoco dei referendum.
Stesso discorso nel Balcani o in Scandinavia. Movimenti spesso portatori di un’identità ben precisa, accomunata da tradizioni, cultura e magari lingua. Differente dalla nostra Padania – di cui non a caso non si parla più da molto da tempo, almeno nei termini di una secessione – per non disturbare gli altri spunti indipendentisti fra il serio e la farsa, dai trattori venetiallaLombardia. Proprio nella costellazione lombarda si muove unpuzzle con più sigle che aderenti: da Pro Lombardia Indipendenza a Lombardi Uniti per l’Indipendenza passando per l’articolato panorama dell’Insubria, dal movimento al Movimento autonomista Valsiesiano Novara. Siamo evidentemente da altre parti rispetto alle terre di William Wallace.
Autore: Simone Cosimi | Fonte: wired.it