“sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare”
(Il Principe, cap. XVIII)
E dunque? Cosa vuole Matteo Renzi?
La risposta non è così semplice. Su Silvio Berlusconi, ad esempio, non ho mai avuto dubbi. Il motore del grande “dominus” del centrodestra è sempre e solo stato il proprio interesse, vale a dire la tutela dell’enorme impero imprenditoriale e la difesa di se stesso dalle molte cause giudiziarie intentategli nel corso di 20 anni. A questo obiettivo supremo ha sacrificato tutto: opinioni, programmi, amici, alleati e non ha mai scordato, neppure per un giorno, la ragione originaria del proprio impegno politico. Neppure ora, dal momento che – approvando una legge elettorale concepita per smontare la coalizione di centrodestra e una riforma costituzionale che attribuisce una strutturale maggioranza di centrosinistra al Senato – dimostra che è pronto a scaricare come zavorra sostenitori, sodali ed elettori per la necessità di riconquistare la propria “agibilità politica” e salvarsi ancora una volta.
Ma Matteo Renzi? In questo caso la risposta è meno sicura. Infatti, non ci troviamo davanti a un leader espressione di una dirigenza e di una storia collettiva (come – ad esempio – era Bersani), bensì a un “maverick”, un eroe solitario che contro tutto e tutti costruisce il proprio destino cambiando nel profondo le regole del gioco a colpi di duelli e revolverate.
In realtà, non credo che Renzi sia un leader “solo contro tutti”, un antisistema di talento che giunge a imprimere una riforma profonda della politica, dei suoi riti e delle sue manchevolezze, ma confesso che il suo obiettivo mi è ancora poco chiaro. Se devo seguire l’istinto, direi che – come per quasi tutti i politici – lo scopo “semiesclusivo” della sua azione è la ricerca del potere fine a se stesso, con la cupidigia e la cafoneria di un nouveau riche della politica.
Il non aver mai fatto altro che politica nella vita, l’essere eternamente candidato a qualcosa, l’utilizzo scaltro della segreteria del partito per scalzare il premier in carica, l’ambiguo rapporto tra politica e affari, suo e del suo complicato “arcipelago degli affetti”, i cambi repentini di posizione, un indiscusso talento comunicativo posto al servizio di una quotidiana rilettura della realtà sono tutti elementi che mi fanno propendere per la passione del Potere slegata da un qualsivoglia disegno… Eppure ci deve essere dell’altro. Perché se non ci fosse un disegno che va oltre la difesa del potere non avrebbero senso – ad esempio – la ricerca scientifica dello scontro quasi quotidiano con pezzi importanti del suo partito, la totale disinvoltura con la quale ostenta un rapporto privilegiato con Silvio Berlusconi e – soprattutto – la totale eliminazione di qualsiasi punto programmatico di “Italia Bene Comune” dall’orizzonte governativo. Tralasciando che è grazie a quel programma se il PD ha eletto 400 parlamentari.
La risposta mi viene da un passaggio del Principe di Machiavelli, in particolare dal capitolo VII. Il Grande Segretario sta discorrendo “De’ Principati nuovi, che con forze d’altri e per fortuna si acquistano” e nota come Cesare Borgia – al fine di rafforzare il proprio fresco dominio su stati appena conquistati, strappandoli ai precedenti sovrani – decise crudelmente di “ispegnere tutti i sangui di quelli Signori che egli aveva spogliato”.
La vecchia classe dirigente e i valori dei quali essa era portatrice va eliminata per poter fondare su basi nuove la legittimità della coalizione dominante ora presente. A questo servono il progetto del Partito della Nazione e la sistematica demolizione/denigrazione non tanto della “sinistra”, quanto del vecchio disegno politico che ha portato alla nascita del PD: quello dell’incontro tra sinistra e cattolicesimo democratico.
Il desiderio di “decomunistizzare” il PD è solo una delle ragioni delle scelte politiche di Renzi, perché il vero cuore pulsante delle sue strategie non pare essere solo lo spostamento del PD in una posizione più centrista. Quello che può apparire centrale è invece il suo compiaciuto e ostentato rapporto con Silvio Berlusconi, la ricerca dell’accordo con il Sultano di Arcore ad ogni costo, anche quando non strettamente necessario, anche quando ragionevolezza e buon senso avrebbero consigliato maggior prudenza. Eppure è proprio questo che ci da una delle possibili chiavi di lettura del renzismo: la demolizione dell’Ulivo, mito fondativo e architrave portante degli ultimi 20 anni di politica di centrosinistra.
Renzi non c’entra nulla con l’Ulivo, perché non c’entra nulla con i fondamenti di quella che – più che una coalizione politica – fu una strategia di lungo periodo. Ricordiamoli, questi fondamenti: fedeltà ai valori della costituzione repubblicana, bipolarismo e legge elettorale maggioritaria, giustizia sociale, difesa del welfare, concertazione e riformismo cauto, ruolo forte ai partiti politici strutturati. Nulla di tutto questo è riscontrabile nella politica di Matteo Renzi.
Renzi non sogna un’Italia bipolare, con destra e sinistra che si alternano pacificamente al potere grazie alla loro capacità di intercettare consenso e fiducia dei cittadini. Il progetto di Renzi sembra essere diverso, di stampo neocentrista: la ricostruzione di un grosso soggetto politico di centro che – grazie a una legge elettorale che smonta le coalizioni – ne perpetui il potere.
Se il capolavoro di De Gasperi e dei suoi successori, infatti, fu di prendere voti a destra per dare vita a politiche capaci di favorire lo stato sociale, il benessere diffuso e il capitalismo temperato, la strategia di Renzi probabilmente punta all’opposto: pescare a sinistra per dar vita a politiche liberiste e conservatrici. Insomma una nuova Democrazia Cristiana, con meno Dossetti e La Pira tra i piedi e maggior peso ai dorotei alla Bisaglia o all’Antonio Gava.
L’Italicum serve a questo. Il combinato disposto “premio di maggioranza al partito, sbarramento basso e doppio turno” rompono lo schema bipolare in favore di un modello a partito egemone, un po’ del tipo Partito Rivoluzionario Istituzionale messicano… Perché lo sbarramento basso e l’opportunità di un turno di ballottaggio non aiutano ad aggregare forze politiche simili, ma polverizzano la rappresentanza favorendo la nascita di soggetti medio-piccoli capaci di intercettare il “voto del cuore”, tanto per il voto utile ci sarà pur sempre il ballottaggio… E – considerando che vi sia sempre una percentuale del 20-25% di elettori “antisistema” – al ballottaggio andrà inesorabilmente una forza politica “responsabile” (il Partito della Nazione) e una forza politica espressione degli antisistema (M5S? LN?). Con presumibile vittoria del PdN come “male minore”.
Naturalmente, questo schema prevede che non si crei una forza di centrodestra rispettabile ed elettoralmente in grado di ereditare il vasto consenso di cui godeva il PDL di Silvio Berlusconi. Ma questa forza non esiste oggi e non esisterà per molto tempo ancora. Perché il disegno “neocentrista” ha una grande capacità di attrazione verso la destra moderata, perché Forza Italia si decomporrà una volta che Berlusconi non sarà più un attore politico rilevante e perché la destra “antisistema” è troppo forte, più forte di quanto non sia mai stata.
Certo, il disegno è intelligente e spericolato, ma non privo di insidie. Innanzitutto, come ricorda Machiavelli nel citato capitolo VII del Principe, impossibilitato a eleggere Papa il nome che più gli aggradava, Cesare Borgia dovette ripiegare su Giuliano della Rovere. Un vecchio avversario che ora tornava utile nella speranza che innalzarlo al Papato gli avrebbe valso fedeltà. Ma – come dice lucidamente Machiavelli – “chi crede che ne’ personaggi grandi beneficii nuovi faccino dimenticare l’ingiurie vecchie, s’inganna”. E infatti, Giulio II si liberò di Cesare Borgia in breve tempo. Fuor di metafora, attento a chi eleggi al Quirinale, caro Matteo, perché troppi “personaggi grandi” hai ingiuriato nell’arco di questi 2 anni e non escludere che un bel po’ di questi non attendano altro che fartela pagare…
L’altro potenziale problema per Renzi è il disincanto da parte di chi lo aveva sostenuto in buona fede. I sondaggi sono ormai da molti mesi negativi, c’è una lenta ma continua erosione del credito ottenuto con le Europee e la mistica del “40,8%” non può perdurare in eterno. Come ricorda Machiavelli nel capitolo II: “gli uomini mutano volentieri Signore, credendo migliorare; e questa credenza gli fa pigliar l’arme contro a chi regge; di che s’ingannano, perché veggono poi per esperienza aver peggiorato”. Il che – detto con linguaggio politologico del nostro secolo – attenzione a sottovalutare l’altissima volatilità elettorale che tuttora caratterizza il panorama politico italiano. Il mix di volatilità, incerta affluenza, retorica antipolitica può generare sorprese e il Grande Disegno franare alla prima prova seria.
Infine, sempre l’ottimo Machiavelli, sottolinea un ulteriore rischio per il Principe. Un rischio che pare particolarmente alto nel caso di Matteo Renzi: quello del servilismo. Nel Capitolo XXIII intitolato “Come si debbino fuggire gli adulatori” si invita il Principe a considerare che ogni corte è piena di “quella peste” e che non bisogna sentirsi offesi o sminuiti dalle opinioni dissenzienti. Il Principe dovrebbe pertanto procedere “eleggendo nel suo Stato uomini savi, e solo a quelli deve dare libero arbitrio a parlargli la verità” e dopo aver ascoltato il parere degli uomini migliori decidere lui solo.
Ma questo non pare il caso di Matteo Renzi. Non mi pare un uomo particolarmente propenso a circondarsi di persone autonome e di valore, ad ascoltare critiche, a ripensare sulle scelte fatte. Insomma, è ben distante dall’essere un Optimo Principe. Che ci piaccia o no.
Marco Cucchini | Poli@rchia (c)