Si è già detto e scritto molto sulla sobrietà del dodicesimo presidente della Repubblica. C’è anche chi, col solito cattivo gusto, ha colto la sua vita di semiclausura degli ultimi anni, fra la foresteria della Corte costituzionale e la Panda grigia, per sottolinearne appunto l’aspetto noioso, vecchio, polveroso. Peccato che costoro rischino, come sempre, di fermarsi alla superficie delle cose (che pure non avrebbero alcun diritto di etichettare con certi termini) per raccogliere qualche lettore assetato di minute e intime questioni. Il punto, infatti, non è la sobrietà: è la misura.
Per questo, al contrario di quanto molti vanno chiedendo in queste ore, non voglio Sergio Mattarella su Twitter. Dice: “C’è il Papa, dev’esserci pure il presidente della Repubblica”. E perché mai?Semmai, pretendo un ufficio stampa puntuale, attento e il più possibile trasparente – sul profilo attuale non è stato pubblicato neanche uno straccio di post sull’elezione – ma credo che Mattarella ci converrebbe tenerlo fuori dal meccanismo. Perché è già a misura di social e i suoi interventi, ci scommetto, circoleranno con grande efficacia sulle piattaforme di cui siamo assetati anche senza un account ufficiale gestito da chissà quale anonimo collaboratore.
In fondo la stragrande maggioranza degli utenti, compreso il bulimico e ciarliero Matteo Renzi, i tweet deve studiarseli. Deve procedere attraverso un faticoso lavoro di sottrazione, eliminando e ripulendo un concetto o un pensiero che, nel momento stesso in cui viene sfrondato, perde spesso la sua carica precipitando nellabanalità o nel divertente gioco di parole talmente artificioso da strappare sì un sorriso ma anche smarrire ogni spontaneità.
Perché la forma è importante, dà senso e significato. Se il contenuto ne viene impoverito o appesantito, non riesce cioè a sgorgare già di per sé stesso confezionato in una certa formula, ne esce compromesso. In fondo, gli stessi tweet del presidente del Consiglio sono spesso mere proposizioni coordinate, elenchi di provvedimenti chiusi da una versione pop del grande urlo dei lupetti.
Sergio Mattarella, lo hanno confermato anche le stringate dichiarazioni di domenica e le anticipazioni del discorso d’insediamento che pronuncerà domattina a Montecitorio, è invece naturalmente dotato di questa qualità. In molti lo sono, per carità. Non tutti sono presidenti o ricoprono qualche carica istituzionale. Quell’“è sufficiente, grazie” del primo giorno lo testimonia perfino inconsciamente: vuol dire non chiedetemi altro perché non saprei dire altro. Dovrei diventare ciò che non sono: uno che spreca parole. E con le parole butta via pure i significati.
“Intanto, vorrei che non fosse un intervento lungo, tempo limite direi non più di una trentina di minuti. E poi vorrei subito mettere bene a fuoco un paio di temi” racconta Repubblica rispetto alle indicazioni che il neopresidente avrebbe fornito ai suoi collaboratori sul messaggio da pronunciare alla Camera.
Davvero pensiamo che sia necessario l’ennesimo profilo Twitter per garantirci la presunta “politica disintermediata”, gestito in realtà da nutriti staff di pr, quando probabilmente avremo un capo dello Stato che, geneticamente abituato alla misura, quegli interventi ce li racconterà a voce senza avere poi sempre e comunque l’ansia di dover per forza aggiungere altro?
Autore: Simone Cosimi | Fonte: wired.it