Il Regno Unito verso le urne: le elezioni più incerte da decenni

Il Regno Unito verso le urne: le elezioni più incerte da decenni

Il Regno Unito va al voto il prossimo 7 maggio in quelle che vengono considerate le elezioni più competitive e incerte sin dagli anni ’70. Come molti altri paesi, anche il Regno Unito deve fare i conti con un elettorato sempre più scettico e volatile, con la crescita della destra populista, le pressioni dei secessionisti e la rottura di quella che per lungo tempo è stata – secondo molti studiosi – la caratteristica fondante della politica britannica, ovvero il sistema bipartitico. Le prossime elezioni sono interessanti per molti aspetti. Sei di questi sono quelli che seguono.

Nessun vincitore assoluto

Sebbene i due principali partiti, conservatori e laburisti, dichiarino di competere per ottenere la maggioranza, la principale aspettativa fra gli esperti è che le prossime elezioni non produrranno alcun vincitore. Come mostra la Figura 1, i sondaggi danno un margine molto risicato tra i due partiti, e tale margine si va restringendo man mano che ci si avvicina al giorno delle elezioni. Verso la fine del 2012 e l’inizio del 2013 il Labour veleggiava attorno al 40%, mentre i conservatori erano attorno al 30%. Nei 103 sondaggi a copertura nazionale condotti tra l’inizio di gennaio e il 17 marzo 2015 (data in cui viene scritto questo articolo), i conservatori hanno una media del 32,3%, i laburisti vengono accreditati del 33,2%, i liberal-democratici ricevono in media il 7,5%, lo UKIP il 14,8% e i Verdi il 6,5%. Il distacco tra i due principali partiti si è attestato nella maggior parte dei casi ben al di sotto del margine di errore. Un partito sta ottenendo grande successo: si tratta dello Scottish National Party (SNP), che nei quattro sondaggi condotti in Scozia ha ricevuto in media il 46% delle intenzioni di voto fra gli scozzesi, staccando così i laburisti di 19-20 punti.

Figura 1: Intenzioni di voto, Gennaio-Marzo 2015.

Fonte: UK Polling Report, http://ukpollingreport.co.uk/voting-intention-2 [17/3/15].

Dal momento che i seggi alla Camera sono 650, un partito ha bisogno di ottenere 326 seggi per avere la maggioranza. In realtà ne bastano un po’ di meno perché il Partito Repubblicano Irlandese, il Sinn Fein, non siede in Parlamento, lasciando così vuoti i seggi conquistati nelle urne. Le previsioni relative alla conquista dei seggi alle elezioni sono diventate una sorta di piccola industria nel Regno Unito. Recenti previsioni assegnano ad entrambi i partiti circa lo stesso numero di seggi. Un recente sondaggio condotto da elettoralisti ed altri esperti (principalmente giornalisti politici) della UK Political Studies Association assegna ai conservatori 278 seggi, 282 ai laburisti, 25 ai liberal-democratici, 7 allo UKIP e 29 allo SNP e i rimanenti vinti da altri partiti, inclusi quelli del Nord Irlanda. Il sito ‘UK election forecast’ dà attualmente 286 seggi ai conservatori, 274 ai laburisti, 42 allo SNP, 25 ai liberal-democratici e solo uno allo UKIP, con i partiti minori che vincono i seggi rimanenti. Riassumendo, perfino fra gli esperti emerge una considerevole incertezza. Gli elementi chiave che si segnalano sono: i due principali partiti che ottengono circa lo stesso numero di seggi, i liberal-democratici che ne perdono più della metà ma mantengono un sostanzioso gruppo parlamentare, lo SNP che vince la stragrande maggioranza dei seggi scozzesi e lo UKIP che non va così bene come i media sembrerebbero suggerire.

La crisi dei maggiori partiti e dei leader

La Gran Bretagna non è estranea al sentimento antipartitico circolante in Europa. L’identificazione di partito è in forte declino da decenni e coloro che si definiscono come fortemente identificati sono non più del 10%. Il rapporto fra iscritti ai partiti ed elettori è fra i più bassi d’Europa. I partiti sono stati colpiti da una serie di fattori. Tra questi, la loro incapacità di risolvere la crisi economica senza colpire i servizi pubblici e le finanze delle famiglie, un’apparente impotenza di fronte agli eventi economici e politici globali e una lunga serie di promesse eccessive che non hanno avuto riscontro in termini di politiche. Recenti studi sulle elezioni britanniche hanno enfatizzato l’importanza della credibilità e delle performance di partiti e leader. Eppure, le performance dei partiti al governo sono state spesso deludenti e tutti e tre i maggiori partiti possono adesso essere ritenuti responsabili per le politiche portate avanti durante la lunga crisi economica.

Tabella 1: valutazioni sui leader e sui partiti

Leader %

Partito %

Differenza +/- %

Cameron

39

33

6

Miliband

30

52

-22

Clegg

31

40

-9

Fonte: IPSOS-MORI (Fieldwork 8-11 March 2015).

Recentemente anche i leader dei principali partiti sono apparsi poco convincenti. David Cameron è stato criticato per lungo tempo dalla destra del Partito Conservatore per essere troppo centrista e per non essere riuscito ad ottenere la maggioranza nel 2010. Nonostante ciò la sua leadership rimane una risorsa per i conservatori. Un recente sondaggio IPSOS-MORI evidenzia uno scarto di 6 punti percentuali tra coloro che dichiarano di apprezzare Cameron e coloro che dichiarano di apprezzare il Partito Conservatore. Milliband resta invece un leader problematico per il Labour e in termini di popolarità si attesta ben 22 punti percentuali sotto il suo partito. Nick Clegg soffre di un simile scarto negativo rispetto al Partito Liberal-democratico, conseguenza delle decisioni impopolari assunte nei primi giorni successivi alla formazione della coalizione di governo. I tempi in cui i leader erano popolari appaiono superati e ci si aspetta che il leader del partito che perderà le elezioni rassegnerà le dimissioni subito dopo.

 Frammentazione territoriale

Dimenticate ciò che vi dicevano I vecchi manuali riguardo alla Gran Bretagna e al suo sistema bipartitico. A livello elettorale non è più così da un po’ di tempo, anche se il sistema maggioritario ha protetto i due maggiori partiti in Parlamento (Clark, 2012: 12). Ciò che è diventato particolarmente evidente in tempi recenti è la territorializzazione del voto. E’ infatti possibile parlare al plurale di ‘sistemi partitici’ del Regno Unito, ognuno dei quali presenta differenti modelli di competizione e opposizione. Il sud dell’Inghilterra è largamente dominato dai conservatori. Il nord dell’Inghilterra è tradizionalmente un territorio laburista, con i conservatori radicati in alcune aree più ricche. Sia il nord che il sud hanno visto l’ascesa dei liberal-democratici in alcune aree e nei governi locali. Le assemblee locali mostrano alti livelli di frammentazione partitica, sia a livello elettorale che parlamentare (Clark, 2012: cap. 7). Il Nord Irlanda rappresenta un caso a sé da lungo tempo, con cinque diverse opzioni partitiche che si contendono il voto. In Galles e Scozia i due partiti nazionalisti sono attori fondamentali del sistema ed entrambi hanno preso parte ai rispetti governi decentrati. Plaid Cymru, il partito dei nazionalisti gallesi, rappresenta al momento la principale opposizione nel Parlamento gallese. Lo SNP detiene la maggioranza dei seggi e governa in Scozia ed è indirizzato per la prima volta verso la vittoria della maggior parte dei 59 seggi scozzesi a Westminster. L’incapacità dei due principali partiti di ottenere la maggioranza dei seggi fa sì che questa territorializzazione possa avere serie conseguenze costituzionali dal momento che lo SNP o il Partito democratico unionista del Nord Irlanda (DUP) potrebbero essere necessari per supportare la formazione di un governo di minoranza Se questo dovesse accadere, è probabile che ci sarebbero ripercussioni in Inghilterra.

La crescita dei piccoli partiti

Il declino della popolarità dei due partiti principali ha concesso ai partiti più piccoli lo spazio per aumentare il loro consenso. Lo United Kingdom Independence Party (UKIP) ha cavalcato il sentimento euroscettico, ed è andato particolarmente bene alle elezioni europee del 2014 arrivando primo con 24 seggi e il 27,5% dei voti. Ha inoltre vinto due elezioni suppletive verso la fine del 2014. Ha fatto appello a coloro che si sentono “lasciati indietro” dalla società moderna, spesso raggruppati in zone costiere del sud dell’Inghilterra. È importante sottolineare che ha preso voti sia al Partito Conservatore che al Partito Laburista, e anche nel nord dell’Inghilterra. I suoi principali temi della campagna elettorale sono stati principalmente le tematiche anti-UE e anti-immigrazione. Il leader del partito, Nigel Farage, ha coltivato l’immagine di un uomo senza peli sulla lingua che dice le cose come stanno. Tuttavia, lo UKIP soffre di indisciplina, e si affida eccessivamente alla figura di Farage. Anche se andasse bene in termini elettorali, è probabile che ottenga molto meno seggi rispetto a quanto la sua performance alle elezioni europee del 2014 possa far supporre, anche perché il Partito Conservatore sta già promettendo un referendum sulla permanenza nella UE.
L’altro partito più piccolo che ha goduto di un certo successo di recente è il partito dei Verdi. Nel 2010 è riuscito ad avere un deputato eletto al parlamento a Brighton, una zona di forza del partito. Da allora ha registrato un aumento nelle iscrizioni al partito e nei sondaggi. Ha anche beneficiato in Scozia del sentimento pro-indipendenza dopo il referendum. Tuttavia, una recente cattiva performance sui media da parte del leader del partito Natalie Bennett ha fatto sì che il partito ha fatto notizia per le ragioni sbagliate. Anche se possono mantenere il loro seggio, a causa del sistema elettorale i Verdi avranno difficoltà a fare progressi altrove. La loro inclusione in un dibattito televisivo tra leader di partito, tuttavia, è un’importante opportunità per ottenere un ulteriore riconoscimento.

La formazione del governo

Ipotizzando che nessuno dei due partiti principali faccia progressi e ottenga la maggioranza, il Regno Unito sperimenterebbe di nuovo una situazione politica poco familiare: la necessità di formare o un governo di coalizione o un governo di minoranza. Ufficialmente, entrambi i partiti principali stanno facendo campagna per ottenere la maggioranza. Ma, come sottolineato in precedenza, quasi nessuno pensa che ciò accadrà. A metà marzo, ciò che appare più probabile è o un governo di minoranza con un solo partito o eventualmente una coalizione tra uno dei due parti maggiori e i liberal-democratici. Meno probabile è una qualche forma di coalizione di destra tra i conservatori e il DUP dell’Irlanda del Nord, con o senza lo UKIP. Recentemente il Labour, in seguito alla pressione dei conservatori e dei media inglesi, è stato costretto a escludere una coalizione ufficiale con lo SNP, partito in generale di centro-sinistra. Infatti, sia lo SNP che il DUP avevano già di fatto escluso una coalizione ufficiale. Tuttavia, ciò lascia aperta la possibilità di un sostegno su singoli punti programmatici e qualche forma di accordo generale, cosa che rimane possibile, se non probabile, su entrambi i lati dello spettro sinistra-destra.
Il processo di formazione del governo sarà molto più complesso rispetto alla precedente esperienza del 2010. Allora, in realtà, non c’era che una sola opzione praticabile: l’alleanza tra i conservatori e i liberal-democratici. Questa volta ci sono potenzialmente molti più attori coinvolti, con interessi che dovranno essere negoziati. Nel 2013, per formare un governo in Italia ci sono voluti 61 giorni. Nel 2010 nel Regno Unito ci sono voluti solo 5 giorni. E’ probabile che ci vorrà più tempo dopo il 7 maggio se le elezioni non produrranno nessuna maggioranza, anche se ci sarà una notevole pressione mediatica per fare veloce. Il processo è anche non ben compreso in Gran Bretagna, anche perché i politici britannici hanno poca esperienza con le trattative di coalizione e con i negoziati con le minoranze. Costituzionalmente, il governo uscente ha il diritto di vedere se per primo può formare un governo. Resta in carica come un custode fino a quando un nuovo governo non è formato. In pratica, nel 2010 i liberaldemocratici hanno ignorato tutto ciò dichiarando pubblicamente che avrebbero aperto le trattative in primo battuta con il partito più votato (i conservatori). Come avverrà il processo di formazione del governo nel 2015 non è chiaro, così come molte altre cose in presenza di una costituzione non scritta in Gran Bretagna.

Altri problemi

Molte altre questioni sono suscettibili di venire poste all’attenzione dell’opinione pubblica dopo le elezioni. In primo luogo, il sistema elettorale first-past-the-post (FPTP) produce notoriamente risultati disproporzionali. E’ probabile che sia così anche questa volta, con i piccoli partiti e quelli con un ampio sostegno sul territorio nazionale che vengono svantaggiati. La possibilità di riformare il sistema elettorale è stata mancata nel 2011, quando in un referendum la maggioranza ha votato contro il passaggio al cosiddetto sistema di voto alternativo. Attualmente il sistema avvantaggia il Labour, soprattutto a causa di una serie di motivi legati alla demografia e al modo in cui è distribuito il consenso elettorale. Le modifiche dei confini delle circoscrizioni elettorali e i tentativi di ridurre il numero di parlamentari a 600 (da 650), finalizzati a rendere il sistema più equo, sono falliti a causa dei disaccordi interni alla coalizione di governo durante la legislatura 2010-15. Se i conservatori costituiranno l’asse del nuovo governo, tali modifiche possono essere riproposte. Tuttavia, coloro che vogliono riformare il sistema elettorale in un senso più proporzionale rischiano di essere delusi: è difficile capire quali incentivi avrebbero i due maggiori partiti nel rinunciare ai vantaggi che hanno grazie al FPTP.

In secondo luogo, il Regno Unito è in procinto di cambiare il proprio sistema di registrazione elettorale passando da quello attuale in cui il capofamiglia garantisce che coloro che vivono al suo indirizzo sono stati registrati, ad uno di iscrizione individuale in cui gli elettori sono tenuti a mostrare un documento d’identità alle urne. La preoccupazione era che la registrazione della famiglia lasciasse uno spazio maggiore per i brogli elettorali. Tuttavia, il risultato è stato che un gran numero di persone sono state tolte dal registro elettorale, con un problema specifico che è evidente nella registrazione degli studenti universitari che sono scomparsi dalle liste elettorali. Attualmente sono in corso vari programmi per cercare di incoraggiare la registrazione. Sapremo quanto questo avrà successo mano a mano che ci avviciniamo alle elezioni. Inoltre la registrazione individuale è probabile che causerà problemi il giorno delle elezioni. Diversamente dall’Italia, il Regno Unito non ha alcuna forma di carta di identità personale e i britannici non sono tenuti a sottoporsi a tale identificazione. In questo modo c’è la possibilità che ad alcuni venga negata la possibilità di votare in quanto privi di passaporto, patente di guida o altro documento d’identità riconosciuto. Sarebbe quindi molto sorprendente se non ci fossero alcune controversie relative alla registrazione dopo le elezioni.

Infine, l’industria dei sondaggi è stata fatta oggetto di pesanti critiche negli ultimi mesi. In parte ciò è avvenuto perché il referendum scozzese si è concluso con un risultato molto ravvicinato, e i sondaggisti non lo avevano previsto fino all’ultimo. Un altro motivo è che i sondaggisti non sono riusciti a individuare chiaramente un partito che avesse un chiaro vantaggio nella corsa per il 2015. Questo però certo non è colpa dei sondaggisti. Ricordando la spirale del silenzio di Noelle-Neumann e i ‘timidi’ conservatori che hanno permesso la nascita di un governo conservatore nel 1992, contro le aspettative di una vittoria laburista, molti elettori scozzesi non sono riusciti a riconoscere le loro preferenze nel referendum 2014. E’ del tutto possibile che la stessa dinamica si stia verificando nelle elezioni generali.

Autore: Dr. Alistair Clark, Newcastle University | Fonte e traduzione: cise.luiss.it

Biografia

Dr Alistair Clark è attualmente Senior Lecturer in Scienza Politica presso l’Università di Newcastle, membro dello UK Political Studies Association Executive Board e co-editore del British Journal of Politics and International Relations. Tra le sue pubblicazioni ci sono Political Parties in the UK (Palgrave 2012) e recentemente in Public Administration una valutazione dell’integrità elettorale in Gran Bretagna. Questo post è stato scritto mentre era Visiting Professor in Political Science & School of Government presso la LUISS Guido Carli di Roma. E-mail: alistair.clark@ncl.ac.uk. Twitter: @ClarkAlistairJ

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