09/04/2015 – In questi mesi è stata lanciata sul web la campagna Non sono angeli (#nonsonoangeli) che, prendendo spunto dall’appellativo ‘angeli del fango’, con cui una parte della stampa usa indicare i cittadini che nelle varie emergenze hanno aiutato a spalare il fango (vedi ad esempio l’ultima alluvione di Genova), è volta a sensibilizzare l’informazione a parlare di volontariato e solidarietà per quello che sono, senza retorica e senza slogan.
L’appello recita: “Non chiamateli angeli del fango. Non sono eroi, ma cittadine e cittadini attivi. Li vedete come angeli, ma sono persone ‘comuni’, attive e responsabili che nell’emergenza si riuniscono, imbracciano una pala e si mettono a scavare nel fango. Se li chiamate ‘angeli’ o ‘eroi’, non fate altro che mitizzarli, trasformarli in qualcosa di eccezionale, di quasi divino. Non sono angeli (né eroi), ma forse sono di più: sono testimoni, esempi di uno stile di vita diverso”. E poi continua: “Nel nostro paese c’è bisogno di far conoscere il volontariato, la solidarietà e qualsiasi altra forma di aiuto reciproco, per quello che sono, non soltanto attraverso titoli e slogan. C’è bisogno di raccontare le storie delle persone che credono nella solidarietà per comunicare attraverso loro e con loro un nuovo modello di comunità, nuovi stili di vita”.
Quindi, se l’obiettivo principale è quello di invitare la stampa e gli altri media a non raccontare il volontariato con la retorica e gli slogan sensazionalistici, l’obiettivo indiretto, che dovrebbe essere comune a tutte le campagne del non profit, è quello di contribuire a “far conoscere il volontariato, la solidarietà e qualsiasi altra forma di aiuto reciproco, per quello che sono”, ossia a comunicare bene il bene. Un obiettivo strategico per chi opera in questo ambito e un ‘bene’ fondamentale per l’intera collettività che può essere raggiunto solo con il coinvolgimento di tutti gli attori, i canali e i mezzi della comunicazione.
Perché? Almeno per quattro motivi:
- La comunicazione è il canale privilegiato per richiamare l’attenzione su temi sociali e proporre nuovi modelli di comportamento ed è uno dei principali volani per il cambiamento sociale.
- La comunicazione è una leva strategica per lo sviluppo di ciascun organismo non profit. Senza comunicazione è difficile realizzare la propria mission, non si fa del bene alla propria ‘buona causa.
- La comunicazione contribuisce a dare il buon esempio, è educativa e induce al bene.
- La comunicazione è anche strumento di trasparenza, di accountability, e quindi un imperativo etico.
Si potrebbe dire, coniando una versione sociale dell’assioma di Paul Watzlawick, che un organismo che ha finalità di solidarietà, che fonda la sua esistenza su una causa sociale “non può non comunicare”. Un’affermazione che, anche se non volesse essere intesa come un assioma, trova la sua dimostrazione nella pluriennale tradizione di molti organismi del terzo settore italiano di non comunicare o comunicare poco, che ha contribuito in misura importante alla loro autoreferenzialità.
Un’organizzazione non profit che voglia raggiungere efficientemente la propria mission e contribuire al cambiamento sociale, deve compiere necessariamente due passaggi: per prima cosa, riconoscere definitivamente (e che non se ne parli più!) il ruolo strategico della comunicazione, e questo è il passaggio culturale che in molti auspichiamo da tempo: la comunicazione non è un costo, non è un’operazione estetica e non è solo un elemento per sviluppare relazioni e produrre socialità. La comunicazione è approccio culturale, è investimento, è condivisione di valori; è la leva strategica fondamentale, sulla quale si basano tutte le altre: la raccolta fondi, la costruzione del brand, la rappresentanza politica, le relazioni pubbliche, i rapporti con i media, ecc.
Il secondo passaggio, è quello di mettere in atto una comunicazione che abbia caratteristiche ben precise: deve essere di ampio respiro, partecipata, attraente. Basta con la comunicazione fine a se stessa, circoscritta al proprio orticello o che parla agli addetti ai lavori. Ciascuna iniziativa di comunicazione sociale (che miri a raccogliere fondi, a promuovere cambiamenti culturali o a far conoscere il terzo settore in generale) deve essere promossa e realizzata in una prospettiva di ampio respiro; deve essere il più possibile partecipata, ovvero con il coinvolgimento della maggior parte degli stakeholder; deve suscitare l’interesse dei diretti interlocutori, ma contemporaneamente deve essere attrattiva universalmente (“appealing worldwide”, per dirla con l’economista Jacques Defourny). Perché per raggiungere una mission, per promuovere il cambiamento, occorre costruire consapevolezza, comunicare bene il bene.
Autore: Nino Santomarino | Fonte: huffingtonpost.it