Perché porre tanta attenzione, dare tanta importanza, alimentare tanta preoccupazione per il “modo di parlare” di molti esponenti della classe politica? Facile a comprendersi. Il linguaggio, infatti, è espressione del pensiero umano; la lingua è immagine della nobiltà dell’umano sentire. Senza coinvolgere la testimonianza di Pier Paolo Pasolini e senza interessare gli ammonimenti di George Orwell, di Hannah Arendt o di Victor Kemplerer, è un dato acquisito e facilmente verificabile che la qualità della comunicazione verbale e scritta (soprattutto politica) indica inequivocabilmente il grado di cultura, lo spessore etico, l’elevatezza morale, la sensibilità civile d’un Paese e dei suoi cittadini. Da ciò consegue o che la classe politica di quel paese è di qualità scadente, o che i cittadini sono ritenuti capaci d’apprezzare solo quel particolare tipo di comunicazione oppure – forse più veritieramente – che i politici, scarseggiando di proposte alternative serie e difettando di argomenti chiaramente validi, si vedono costretti a ricorrere a “parole” grossolane, che suscitano e fomentano emozioni passionali anziché originare valutazioni critiche e sollecitare proposte costruttive.
Comunque, è certo che oggi in Italia s’assiste (spesso forse alquanto “rassegnati”) a quello che l’americana Wendy Broun chiama il “teatro della sovranità perduta”. La “sovranità”, infatti, si fonda sulla effettività concreta e si esercita nel gestire ogni evenienza secondo le sue reali potenzialità, senza miracolismi e illusionismi, soprattutto se camuffati con infondato ottimismo o alterati con comportamenti opachi. Comunicare, infatti, significa veicolare vere realtà che sono verità reali: quindi, usando parole appropriate per esprimere pensieri individuali e collettivi veri e suscitare azioni private e pubbliche condivise e realizzabili. Ciò è realmente possibile, solo se si s’instaura un sostanziale dialogo corretto e leale, disponibile al contributo positivo da qualunque parte provenga: soltanto nel dialogare tra uomini ragionevoli s’originano idee nuove; e nel dialogo genuinamente politico nascono e fioriscono progetti forse anche imprevisti, ma certamente intelligenti. Comunicare, però, è un’arte, che va costruita e coltivata in ogni modo, in quanto è mezzo insostituibile nel creare unità e nel determinare progressi comuni: ma presuppone una società abitata da “uomini”, che interagiscono dignitosamente in clima di libertà e di corresponsabilità. Non è, dunque, comunicare, quando si ricorre al discredito gratuito di chi la pensa diversamente, quando si giunge alla demolizione morale assurda di chi detiene cariche istituzionali, quando non ci si fa scrupolo di diffamare rozzamente opinioni e tendenze altrui. Insomma, non si comunica, quando ci si chiude nell’angusto e sterile contrapporsi, pensando di distruggere la diversità e la pluralità, che sono, invece, il presupposto indispensabile d’ogni vita relazionale, e massimamente politica.
In Italia, pertanto, dev’essere restaurata la dignità della comunicazione politica, che dovrà essere specchio veramente onorevole e onorato d’un Paese dignitoso e libero, che rifugge dalle lotte pseudo-politiche, dannose oltre che inutili e degradanti, d’un paese che è davvero stanco di assistere a reazioni istintive e a controversie improvvisate, che non è più disposto ad accettare l’attuale degrado etico, in cui lo si sta facendo precipitare. Gli italiani vogliono tornare a essere cittadini d’un Paese che progredisce nell’onestà e nella civiltà e, per questo, invoca il ritrovamento della sua dignità: quella proprio di chi è stato culla del diritto e della civiltà fondata sulla salvaguardia sulla dignità d’ogni persona. Senza questo ritrovamento è impossibile guardare a un futuro veramente speranzoso. A questo scopo è indispensabile il contributo, oltre che dei protagonisti della politica anche (e forse prima di tutto) degli uomini di cultura: non solo non prestino il fianco allo scadimento della comunicazione politica, ma s’impegnino attivamente ad arginarlo, mantenendo alto il livello del dialogare e del comunicare. E nessuno s’illuda che addossare colpe al passato genera automaticamente avanzamento, progresso e miglioramento: al passato si guarda solo per ritrovare le solide fondamenta, per costruire progetti realizzabili concretamente in un futuro possibile.
Autore: Cosimo Scarcella | Fonte: affaritaliani.it